Archivi tag: Edoardo Winspeare

Sabato 30 agosto “13 sotto il lenzuolo” e “In grazia di Dio” a Ostuni Pop

IMG_9101ridSabato 30 agosto alle 19 Giuliano parteciperà al festival Ostuni Pop conversando di “13 sotto il lenzuolo” con Francesco Gioffredi. Seguirà, alle 21, la proiezione dell’ultimo film di Edoardo Winspeare, “In grazia di Dio”. Appuntamento allo Slow Cinema, in corso Mazzini a Ostuni.

Emergenza occupazione: il commento

_web_images_tarantoBIGIl commento, pubblicato sul Quotidiano di Taranto del 1° aprile, sulle vertenze lavorative e sulla disoccupazione a Taranto.

Ora che la crisi è arrivata dappertutto, si dice che a reagire meglio siano le zone che in crisi erano già da un pezzo, perché dotate di “anticorpi”. Fosse davvero così, Taranto sarebbe in una botte di ferro. Ma in buona parte è solo una bugia pietosa. Le vacche grasse del passato, per chi le ha avute, servono ancora da riserva e da ammortizzatore. A chi invece aveva già toccato il fondo, ora non resta che scavare.
Taranto poi, come spesso succede, fa storia a sé. Industria di stato e Marina Militare: in una città di stipendiati, il dilagare di disoccupazione e precariato è qualcosa di particolarmente spiazzante. Le vertenze sindacali e i sit in, pur sacrosanti, sono battaglie di retroguardia, buone solo per cercare di limitare i danni in attesa che quel modo di lavorare, nel giro di poche generazioni, scompaia del tutto. Prima se ne prende atto, meglio sarà, e per fortuna anche da queste parti qualcuno sta iniziando ad accorgersene.
Certo non saranno le lettere a Renzi, o a chiunque altro in sua vece, a tirarci fuori dai guai. Quelle sono solo la dimostrazione di come ancora sopravviva una certa mentalità assistenzialistica che identifica il potere con le persone che lo gestiscono. La stessa mentalità che porta tanti disoccupati tarantini – pur meritevoli di solidarietà – a chiedere aiuto (o elemosina) al sindaco e non ai servizi per l’impiego, evidentemente sconosciuti o ritenuti inutili.
Ma forse quella bugia pietosa che vorrebbe le aree povere più attrezzate delle altre a fare fronte alla crisi ha un fondo di verità. Un milanese che si trovasse a vivere a Taranto, o in Puglia, resterebbe sorpreso dal rapporto che qui si ha coi soldi. Sconcertato da come, anche in situazioni prettamente lavorative, spesso si dimentichi (per nobiltà d’animo o per sciatteria) che lo scopo ultimo dell’attività è il guadagno. Ma anche affascinato, forse commosso, dal modo in cui chiunque – fosse anche uno che porta a casa duecento euro al mese o un disoccupato – se gli stai simpatico insista per offrirti un caffè, una pizza, una cena.
Il fatto è che, come ha detto il regista salentino Edoardo Winspeare in una recente intervista a Vanity Fair, “qui nessuno ha soldi ma nessuno parla di soldi”. Il suo film “In grazia di Dio” racconta di alcune donne che reagiscono alla congiuntura economica negativa reinventandosi contadine, e barattando il prodotto del loro lavoro con altri beni di prima necessità. La piccola grande lezione di questa storia non sta tanto nelle teorie della decrescita felice e nel ritorno alla terra, concetti che portati all’eccesso rischiano di diventare stucchevoli cliché pauperisti. La lezione sta piuttosto nella la forza di volontà delle persone, soprattutto di quelle più umili, l’abitudine a soffrire e a cambiare rapidamente i propri orizzonti. Soprattutto, il poter attingere, come estrema risorsa a quella che dovrebbe essere la prima, di risorsa: l’umanità e la capacità di aiutarsi a vicenda. Una risorsa, almeno questa, di cui al sud siamo – o eravamo? – molto ricchi.

“In grazia di Dio”: la prima nazionale

1926924_685981038107731_1353569315_nIl commento di Giuliano alla prima nazionale di “In grazia di Dio”, il 24 marzo al cinema Anteo di Milano. Pubblicato sul Quotidiano di Puglia del 26 marzo.

Fosse stato in Arabo anziché in Salentino, l’avrebbero visto nello stesso modo. I milanesi accorsi l’altro ieri alla prima nazionale di “In grazia di Dio” si sono affidati ai sottotitoli in Italiano senza alcuna esitazione. Troppo stretto il dialetto del Capo, troppo lontano da qualsiasi appiglio noto. Perché se il Salento a Milano è popolare, il Salento popolare – e non “etnochic” – lo è molto meno. Di solito nei film ci si ferma a un simpatico accento edulcorato. Magari anche barese, in ossequio a quella visione massimalista della Puglia come cartolina del Salento popolata da imitatori di Lino Banfi. Chissà, forse è proprio per stigmatizzare questo andazzo che Edoardo Winspeare fa recitare la prima battuta del suo film a un venditore ambulante barese.
Nella prima proiezione di “In grazia di Dio” non riservata alla stampa, il pubblico si è dimostrato più attento e sensibile di quanto non lo siano mediamente i giornalisti. Un po’ perché di pubblico invitato si trattava, e quindi almeno in parte “amico” del film. Ma – è sembrato – soprattutto perché il film ha conquistato quel pubblico a poco a poco, con gentilezza. Nella sala gremita si è celebrata un’affinità fra diversi: da una parte la “gente da Anteo” (il cinema in cui la proiezione ha avuto luogo, tempio di una certa borghesia illuminata e radical chic meneghina), dall’altra quel fascinoso regista – baffuto come sempre, pettinato come mai, un po’ nobile e un po’ contadino – che con disinvolto candore quasi giustificava la propria eleganza: “Di solito non mi metto la cravatta, ma sapendo che mi avrebbe presentato Paolo Mereghetti non potevo farne a meno”.
Si spengono le luci. La pellicola inizia con tre inquadrature in successione di un placido paesaggio rurale del Salento. In sala si sentono sospiri di approvazione. Quasi dei mugolii, che ritornano con le vedute più suggestive, quando ad esempio la macchina da presa si alza rapida lasciando che gli ulivi svelino il mare. È la Puglia rassicurante, quella più simile a un immaginario da turismo di charme. Ma poi Winspeare mostra anche le asperità, quelle naturali e quelle umane. Amalgama il bello e il brutto, i buoni e i cattivi in un unico impasto. E per una volta il Salento, la Puglia, il Sud, non restano schiacciati in uno dei due modelli opposti – paradiso terrestre o luogo del degrado – ma respirano in una tridimensionalità che è insieme realistica e poetica. Una ricchezza di sfumature che toglie la voglia di giudizi frettolosi e definitivi. La platea sospira, ride quando c’è da ridere e piange di nascosto quando non se ne può fare a meno. Ma per il resto rimane in silenzio, come sospesa. Sorpresa e affascinata da un Salento altro. In grazia di Dio, si potrebbe dire. Resta zitta e accetta di buon grado anche la rappresentazione dei milanesi, affidata a un uomo ricco e dai modi affettati che incassa con malcelata incredulità il rifiuto che due donne – pur in difficoltà economiche – oppongono alla sua offerta di acquistare il loro appezzamento. “Qua non è tutto in vendita” dice la più anziana. Allo scorrere dei titoli di coda i milanesi applaudono convinti.