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“La gente che sta bene” (e “Il capitale umano”): il commento e le interviste

trailer-la-gente-che-sta-bene-recensione-anteprimaIl commento di Giuliano sui film “La gente che sta bene” e “Il capitale umano”, e le interviste a Claudio Bisio, Francesco Patierno e Federico Baccomo, rispettivamente attore, regista e sceneggiatore di “La gente che sta bene”. Pubblicati sul Quotidiano di Puglia.

Un uomo ricco e di successo frequenta un uomo molto ricco e molto di successo sperando di diventare come lui. Per inseguire il suo sogno di affermazione, trascura i veri valori della vita, compresi gli affetti: la partner che sul più bello si scopre incinta e la figlia in piena crisi adolescenziale. A un passo dalla meta qualcosa va storto e il “ricco aspirante ricchissimo” si vede cadere il mondo addosso. Un tragico incidente stradale spariglierà definitivamente le carte e – fra figli maschi oppressi dalle troppe aspettative, amanti che nascondono cicatrici sui polsi e personaggi seduti nella doccia immobili e cogli occhi sbarrati – le cose si risolvono, anche se non nel modo inizialmente immaginato.
Avete appena letto la trama non di uno ma di due film italiani attualmente in programmazione nelle sale: “Il capitale umano” di Paolo Virzì e “La gente che sta bene” di Francesco Patierno. Posto che nessuno ha copiato da nessuno (le due pellicole fra l’altro sono tratte da libri: “Il capitale umano”, liberamente, da “Human capital” di Stephen Amidon; “La gente che sta bene” dall’omonimo romanzo di Federico Baccomo), i punti in comune nella storia raccontata dai due film sono davvero tanti, sia nelle linee generali che nei dettagli, e non può essere una pura coincidenza. Prima possibile spiegazione: una certa autoreferenzialità e mancanza di fantasia del cinema italiano, simboleggiata per esempio dal fatto che unendo i due cast si ricompone pressoché al completo la famigerata (e simpaticissima, va detto) “Banda Salvatores”: da una parte Claudio Bisio, Diego Abatantuono e Claudio Bigagli; dall’altra Fabrizio Bentivoglio e Gigio Alberti. Una banda, si noti, anagraficamente più vecchia dei due registi. Seconda possibile spiegazione: a volte certi concetti galleggiano nell’aria e può capitare che due buoni film, efficaci nel raccontare lo spirito dei tempi, si concentrino sullo stesso tema. Che non è (solo) l’arroganza di certi ricchi che si fa beffe degli affanni dei comuni mortali, ma – più sottilmente – l’insensatezza di uno stile di vita basato esclusivamente sulle ambizioni materiali, ambizioni che peraltro oggi sono alla portata di sempre meno persone.
Se si somigliano nelle trame, i due film però differiscono molto tra loro sotto altri aspetti. Lo stile narrativo, per esempio. “La gente che sta bene” ha un’ispirazione televisiva (ma non suoni come una diminutio: i modelli sono le migliori serie tv americane, non certo alcune tristemente note fiction nostrane) che lo porta a concentrarsi sull’approfondimento dei personaggi e sulla creazione di un mood peculiare, fatto di umorismo acido e un tocco di surreale. “Il capitale umano” è invece più compiutamente cinematografico, prendendo dalla settima arte il respiro, i tempi, la varietà di stili, le tecniche narrative e anche qualche cliché. L’altra differenza sta nel finale: in uno (non diciamo quale) assistiamo a una redenzione un po’ buonista, sebbene parziale e per certi versi beffarda; nell’altro si fanno i conti con l’amara constatazione che c’è chi cade sempre in piedi e chi invece finisce per pagare, anche per colpe non sue.

“La gente che sta bene”, diretto da Francesco Patierno, con protagonista Claudio Bisio, affiancato da Diego Abatantuono, Margherita Buy e Jennipher Rodriguez, è basato sul secondo romanzo del trentacinquenne milanese Federico Baccomo, che racconta, alternando ironia e toni drammatici, di un manager di successo che viene improvvisamente licenziato in una Milano preda della crisi economica e finanziaria, e dei suoi tentativi sempre più spregiudicati di tornare in vetta.
“Il tema forte del film” spiega il regista Patierno, “è la responsabilità delle proprie azioni. Il protagonista Umberto Durloni inizialmente non si preoccupa del proprio operato, ma poi, quando ne tocca con mano le conseguenze, entra in crisi. Cerco di raccontare storie che siano soprattutto storie di personaggi, con dialoghi molto lunghi come accade in serie tv anglosassoni come ‘Madman’, “Dexter’ o ‘The office’. Il film è girato soprattutto in interni, ma nei pochi esterni Milano appare come una città che si sta costruendo, piena di gru, con uno skyline ancora non definito”.
“Di Milano mi piace raccontare l’aspetto della perdizione, che però è solo uno dei lati della città” sostiene Federico Baccomo, che del film è co-sceneggiatore. “Le vicende di ‘La gente che sta bene’ potrebbero svolgersi ovunque, per esempio negli Stati Uniti ma ci sono dei dettagli tipicamente italiani. Il sogno americano è farcela, arrivare; quello italiano è invece stare a galla, cavarsela. In fondo Umberto non vuole stare bene, ma vuole convincerti che lui sta bene, il che è molto italiano”.
“Mi viene in mente il film ‘Diario di una schizofrenica’” aggiunge Claudio Bisio, “in cui la protagonista continua a ripetere ‘Io sto bene, tu come stai?’ ma si vede che non sta bene affatto. Del libro di Federico ho apprezzato la comicità arguta e pungente, molto anglosassone, che mi ha ricordato quella di Walter Fontana. Quanto al lavoro sul set, è stato uno dei pochi film in cui ho rispettato la sceneggiatura così tanto. Io sono abituato a parafrasare la parte, per renderla più adatta a me, ma in questo caso non funzionava: le parole scritte nella sceneggiatura erano sempre le più giuste. Unica eccezione: le scene con Diego Abatantuono, con cui ci siamo presi delle libertà, forti di una consolidata intesa comica. C’è poi addirittura una scena ‘rubata’ tra la gente: quando arrivo a Berlino, scendo dal taxi e saluto tutti con un cordiale ‘scheisse!’, che in realtà vuol dire ‘merda’. Il tedesco che mi risponde insultandomi non è un attore ma un ignaro passante!”

Tarantini-Tunisini, la sfida più bella

Ecco il testo dell’articolo di Giuliano, uscito il 16 aprile in prima pagina sul Quotidiano di Taranto:

La partita più bella dell’anno non sarà Taranto-Lanciano. Non lo sarà comunque vada, perché mancheranno i fuorisede. La partita più bella dell’anno si giocherà oggi alle 16, a Grottaglie (campo “San Francesco de Geronimo”, zona Monticelli), dove i tifosi rossoblù si confronteranno con dei fuorisede un po’ speciali: i migranti tunisini della tendopoli di Manduria.

“Un’amichevole di calcio dal sapore vagamente ribelle, ma straordinariamente civile”, si legge sul sito dei Taranto Supporters, gli organizzatori dell’iniziativa, gli stessi che, puntualmente, marciano con sciarpe e striscione a ogni manifestazione cittadina in favore dell’ambiente.

Una partita improbabile e poetica come quelle di certi racconti di Osvaldo Soriano. Emozionate ed emblematica come nei film di Salvatores. Viene in mente lo spiazzo pietroso di Mediterraneo, con lo scalcagnato contingente italiano che gioca ignaro di come tutto, altrove, sia cambiato. Viene in mente soprattutto la partita nel deserto di Marrakech express, commovente e liberatoria, sulle note di La leva calcistica… di De Gregori.

“Calcio per la libertà, libertà per il calcio”, questo lo slogan del match. Che mette insieme due istanze certo molto differenti. Quella dei ragazzi del Nordafrica, alla ricerca di un futuro e della libertà, e quella dei tifosi, che vorrebbero coltivare la loro passione senza criminalizzazioni e provvedimenti cervellotici. Ma in fondo sta proprio qui il maggior pregio di questa iniziativa: nel sottolineare che i ragazzi del mondo sono uguali, sognatori e un po’ incoscienti, e sono quasi sempre meglio di come qualcuno li vorrebbe dipingere. E per dimostrare tutto questo, niente è meglio di una partita di calcio.