Taranto al cinema, “fascino neomelodico”. L’intervista a Giuseppe Marco Albano

Quotidiano 2Ecco l’intervista a Giuseppe Marco Albano, regista del cortometraggio “Thriller”, apparsa sul Quotidiano di Puglia con il titolo “Taranto al cinema, ‘Fascino neomelodico’”.

Il suo cortometraggio “Thriller” – storia di un ragazzino che insegue il suo sogno di celebrità sullo sfondo dei giorni caldi della vertenza Ilva – si è aggiudicato ben sessanta premi, fra cui il David di Donatello. Giuseppe Marco Albano, trentenne di Bernalda (Matera) attivo alla regia dal 2008 (nel 2010 ha vinto il Nastro d’Argento con il cortometraggio “Stand by me”) ci parla della sua carriera, di Taranto e del cinema.

Ti aspettavi un simile successo per “Thriller”? E a cosa lo attribuisci?

«Ovviamente non mi aspettavo di vincere il David di Donatello, ma devo dire che pur essendo “Thriller” figlio di un’intuizione spontanea, che metteva insieme due mie grandi passioni, ho costruito il corto cercando di includere alcuni aspetti che immaginavo sarebbero stati apprezzati dalle giurie. Mi riferisco in particolare al taglio da commedia dai toni sociali forti – ovvero ciò che ha fatto grande il cinema italiano – e il tema dell’Ilva di Taranto, di cui in quel periodo si parlava moltissimo».

Due passioni, quindi, per Michael Jackson e per Taranto. Da dove nasce quella per la città jonica?

«Per noi a Bernalda, Taranto è sempre stata la città di riferimento, molto più che Matera o Bari. E’ lì che, fin da quando ero piccolo, la mia famiglia si recava per fare gli acquisti importanti. E’ lì che ho visto il primo ipermercato della mia vita. Poi c’è il mare. Mio padre era di Brindisi, altra città costiera pugliese. Bernalda è il primo comune lucano dopo il confine con la Puglia e con la provincia di Taranto. Ricordo che quando vidi “Io speriamo che me la cavo” della Wertmuller e scoprii che la Napoli della finzione cinematografica era in realtà Taranto vecchia, fu per me un momento magico, perché capii che si poteva fare cinema anche in luoghi a me familiari. Taranto colpisce i registi e gli scrittori, credo anche per quello che io chiamo “fascino neomelodico”, cioè quella complessa struttura popolare, con aspetti anche delinquenziali, che accomuna le grandi città del Sud».

E’ stato difficile, quando hai girato “Thriller”, trovare accoglienza in questo tipo di contesto?

«Sì, soprattutto all’inizio. Taranto in quel periodo era assediata da troupe e telecamere, e fra i tarantini serpeggiava un sentimento di insofferenza verso un modo di raccontare la città spesso ispirato al sensazionalismo e alla negatività. Di fronte a queste obiezioni, io cercavo di ribattere che il mio film avrebbe avuto un taglio diverso ma, visto che il corto lo stavo ancora girando, non avevo prove per dimostrarlo! E del resto, anche una volta finito il lavoro, non sapevo come sarebbe stato accolto dai tarantini. Ma per fortuna i giudizi sono stati in massima parte positivi».

A cosa stai lavorando ora?

«Sto scrivendo un lungometraggio, una commedia interamente ambientata a Napoli che si chiamerà “Vedi Napoli e poi muori”. Sarà incentrata sugli anziani e, come “Thriller”, cercherà di toccare tematiche serie col tocco leggero della commedia. Spero di riuscire a girarlo fra la primavera e l’estate del 2016».

Da addetto ai lavori, come giudichi il momento che sta attraversando il Cinema in Puglia e Basilicata?

«La Puglia negli ultimi anni ha fatto cose straordinarie, e la piccola Basilicata sta cercando di seguirne le tracce. Si dice che non sia tutto oro ciò che luccica, ma nella fattispecie dietro la facciata c’è anche la sostanza».

Qual è lo stato di salute del sistema Cinema italiano?

«Si intravede qualcosa di positivo: stiamo assistendo a un passaggio generazionale sia a livello istituzionale che artistico, che dovrebbe portare a uno svecchiamento. Certo, fra le cose negative, vanno registrate l’esterofilia dei nostri premi cinematografici e la tendenza a confondere il cinema con gli altri media, come la tv e il web. Quando si cerca di scovare il nuovo regista di successo fra youtuber o autori di video virali, magari bravi, ma privi di una cultura cinematografica anche minima, secondo me si perde in partenza».

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