Pioggia e playoff

Pallone vintageL’articolo su Viterbese-Taranto apparso sul Quotidiano di Taranto il 9 giugno.

Domenica 7 giugno, stadio Rocchi di Viterbo, 17,40 circa. Il Taranto ha appena pareggiato. Mentre le due squadre, nei pochi minuti che mancano al 90’, spremono le ultime energie nel tentativo di affondare il colpo del Ko, la pioggia si fa sempre più intensa, fulmini continui crepano il cielo cupo e tuoni simili a esplosioni coprono le urla di tifosi ormai prossimi all’afonia. Il momento è di una solennità quasi mitologica, e come certi miti è surreale e insieme emblematico. L’anima del calcio tarantino sembra essersi raggrumata lì, nelle ultime battute di una partita riacciuffata per i capelli e ancora aperta a qualsiasi possibilità. Una partita sudata e sofferta, sebbene nessuno sappia ancora esattamente a cosa serva. Una partita, infine, giocata sotto la pioggia. La pioggia che ha iniziato timidamente a cadere poco prima del gol della Viterbese, quasi a volerlo annunciare, che è proseguita impietosa lungo tutto l’intervallo e poi nella ripresa, trasformandosi infine in un temporale liberatorio dopo l’inzuccata di Pambianchi. Era quello il posto del Taranto: non certo Berlino in mondovisione, ma forse neanche lo Iacovone baciato dal sole dopo una vittoria netta. Il posto del Taranto è un campo fangoso di provincia dove un secondo o un millimetro fanno la differenza fra il trionfo e la disfatta.
La pioggia durante i playoff del Taranto non manca mai. E’ un’incredibile versione moderna della nuvoletta di Fantozzi. I playoff si giocano fra maggio e giugno, un periodo in cui è più probabile beccarsi un’insolazione che farsi una doccia con i vestiti addosso. Eppure, da Lanciano a Vercelli, passando dal famigerato Taranto-Catania, da Taranto-Rende del 2006 e dall’incredibile beffa del Flaminio, di acqua sulle nostre teste ne è caduta in abbondanza. E’ un surplus di sofferenza, una certificazione di anormalità cui forse ci stiamo iniziando ad abituare: rende più eroiche le vittorie e in fondo anche le sconfitte. E’ qualcosa che si ricorda e si racconta con piacere, perlomeno una volta smaltito il raffreddore.
Durante gli ultimi minuti di Viterbo – con l’incertezza sul risultato che regna sovrana – c’è da scommettere che siano in tanti sugli spalti a essere contenti così, a prescindere da come andrà a finire, oppure a chiedersi, con una sorta di masochistica soddisfazione, in quale modo assurdo arriverà stavolta l’immancabile mazzata (2-1 della Viterbese al 95’? Sconfitta ai rigori? O ancora – pericolo non ancora scongiurato – arrivare per una volta in fondo ai playoff ma rimanere ugualmente in D per qualche cervellotico nodo regolamentare?). Perché dopo tutto, è questo che cerchiamo: emozioni. Emozioni e piccole grandi gioie, anche estemporanee, eventualmente pure slegate da risultati, graduatorie e punteggi.
Poi sono arrivati i rigori, una modalità di sofferenza relativamente rara nella pur ricchissima casistica rossoblu. La fine è nota: i nostri, freddissimi, segnano; loro ne mandano alle stelle due su quattro. A quel punto tutti i pensieri sono scomparsi, ed è rimasto solo spazio per una gioia pura. Minuti di abbandono in cui ci si dimentica di tutto (e di cui fortunatamente si conserva un ricordo abbastanza confuso, a patto di non essere immortalati in un video amatoriale…), e in cui abbracciare degli sconosciuti urlanti sembra perfettamente normale, anzi necessario. Sarà anche solo una partita di calcio, ma ogni tanto è bello, e forse anche salutare.
Poi però quell’attimo finisce, e si ritorna all’ordinarietà. La vita va avanti, dentro e fuori dai campi di calcio. C’è da scommettere che per domani, sulla riviera ligure di levante, sia prevista nuvolosità variabile.

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