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Iniziamo a lavorare per il futuro

Articolo sulla candidatura di Taranto a Capitale Europea per la Cultura, pubblicato sul Quotidiano di Puglia del 15 settembre.

E’ pressoché impossibile che Taranto diventi la capitale europea della cultura 2019, e ci sono buone probabilità che la città dei due mari non superi neanche la prima selezione in programma fra qualche giorno.
Al di là dell’agguerrita concorrenza di città oggettivamente più note e titolate, sono troppi i fattori che indeboliscono la candidatura tarantina. Innanzitutto la mancata alleanza con Lecce, che penalizza entrambe le città, dovuta a consuete questioni di campanile e di incomunicabilità istituzionale. Certo, Taranto e Lecce hanno identità storiche e culturali profondamente diverse, ma proprio questo avrebbe potuto dar forza a una candidatura congiunta: quanti altri avrebbero potuto mettere sul piatto un patrimonio culturale che va dalla Magna Grecia al Barocco? Forse però da parte tarantina si è temuto che unirsi a Lecce avrebbe significato rimanere nella sua ombra, come accade puntualmente da anni in tutto ciò che riguarda il turismo. Ma se così fosse, si tratterebbe di un’ammissione di sconfitta in partenza: se si teme la rivalità interna con Lecce, con quali speranze si va a lottare con Perugia-Assisi, Siena o Bergamo?
Ma a parte questo, per concorrere con qualche speranza a un bando del genere, ci vogliono denaro e una programmazione che parte da lontano, è ciò e vero soprattutto quando, come a Taranto, non si tratta di mettere in vetrina un’offerta culturale già solida e riconosciuta, ma invece di iniziare a immaginare – e a fare immaginare – come si vorrebbe valorizzare il potenziale della città, oggi inespresso e quasi sconosciuto. Per dirne una: si è mai vista una capitale della cultura senza un teatro comunale? Taranto invece è partita in netto ritardo, e quanto alla ben nota scarsità di capitali pubblici e privati, non può essere considerata un alibi ma al contrario doveva indurre una riflessione iniziale sull’opportunità di questo tentativo.
Ciononostante, non tutto in questa candidatura è da buttare. Se accettiamo di considerarla poco più che una boutade, si deve ammettere che è una bella boutade. Perché punta il dito non tanto su ciò che siamo ma su ciò che potremmo essere. In questo senso sembra particolarmente azzeccata la scelta di non considerare l’attuale identità industriale della città uno svantaggio da nascondere ma al contrario una freccia in più all’arco della città. Tutto questo è ovviamente possibile a patto di non considerare questa identità immutabile nel tempo. Si tratta di prendere atto che – indipendentemente da ambientalisti e magistrati – la Taranto del futuro non sarà uguale a quella degli ultimi decenni. La trasformazione, in qualsiasi direzione ci porti, è un concetto dinamico che genera di per sé vitalità, effervescenza, e quindi anche cultura. E basta guardare parecchie delle capitali degli anni scorsi (Genova, Liverpool, Linz, Essen, Marsiglia) per capire quante chances ha una città portuale e/o industriale in fase di cambiamento.
Ecco il maggiore merito di questa candidatura: l’aver detto che “si può fare”, che si può puntare (anche) sulla cultura, e l’aver aggiunto – magari solo a fini propagandistici – che “lo si vuole fare”. Per ora è stata poco più di una dichiarazione di intenti, e l’immediato futuro ci dirà quanto sincera. Dopo il 2019, la capitale europea della cultura tornerà italiana nel 2033: per costruire una candidatura meno velleitaria, il momento per iniziare a lavorare è adesso.