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100 idee per Taranto

Ecco l’intervista a Massimo Ruggieri di ViviTaranto, apparsa sul Quotidiano del 21 aprile.

“100 idee per Taranto: dalla protesta alla proposta di cambiamento” è un percorso coordinato dalla rete ViviTaranto, che ha visto lo scorso 12 aprile alcune decine di associazioni e cittadini incontrarsi per discutere e mettere a punto progetti concreti per il futuro della città.
“ViviTaranto, che ha nel blog TargatoTA il suo strumento comunicativo, è per scelta una rete informale” spiega l’ideatore Massimo Ruggieri. “Non vogliamo essere percepiti come qualcosa che si mette al di sopra degli altri, né essere l’ennesima sigla in uno scenario già troppo frammentato. Uno dei problemi del nostro territorio è notoriamente la mancanza di unione. C’è difficoltà a far capire che unirsi non significa dover dividere con altri quel poco che si ha, ma aprirsi tutti a opportunità molto maggiori”.

Perché questa iniziativa?

“Abbiamo riscontrato il bisogno di proposte, per andare oltre la semplice protesta. La nostra è una piattaforma aperta a cui ognuno può contribuire con proprie idee, che poi saranno messe a disposizione di tutti tramite un forum. Siamo partiti da uno zoccolo duro di operatori culturali. Ma ultimamente il raggio si è allargato ad associazioni non prettamente culturali e ai cittadini”.

Che obiettivi vi ponete?

“Vogliamo esercitare una pressione mediatica dal basso, un sistema che ha già portato risultati in campo ambientale. Le idee sono rivolte soprattutto alla Pubblica Amministrazione, nella convinzione che presentandosi tutti insieme si potrà ottenere maggiore ascolto. L’obiettivo massimo è quello di imporre queste idee nelle agende politiche. L’obiettivo minimo – ma comunque molto importante – è dimostrare ai cittadini che un’altra Taranto è possibile”.

Perché proprio “100 idee”? E’ uno slogan?

“Uno slogan, ma per difetto! Di idee ne abbiamo raccolte già centoventi. Alcune sono realizzabili nell’immediato, altre richiedono tempi più lunghi, ma sono tutte proposte circostanziate e fattibili”.

Qualche esempio?

“L’introduzione del ‘Taras’, una moneta complementare all’euro che ha valenza di buono sconto presso tutti gli esercizi che decideranno liberamente di adottarlo: gli Enti locali lo stampano e provvedono alla sua distribuzione quale premio per comportamenti civici virtuosi. Oppure il recupero del patrimonio demaniale in base a risarcimenti previsti da una legge sulle servitù militari in zone urbane: è qualcosa che ci spetta, non dobbiamo pregare nessuno. O ancora il lancio del turismo con gli overcraft, una forma di navigazione che ha il vantaggio di non avere bisogno di banchine: anni fa era stato presentato un progetto, c’era la disponibilità di un investitore ma non se ne fece niente”.

La vostra visione, basata principalmente su turismo e cultura, non rischia di essere velleitaria? In altre parole, è possibile vivere di solo turismo?

“Il turismo ha grandi potenzialità, ma è chiaro che da solo non basta. Però il nostro è un modo di spezzare quel monopolio dell’industria che fa sì che a Taranto continuino ad arrivare solo gli investimenti peggiori. Vogliamo far capire che ci possono essere altre strade, e fra le varie alternative la cultura è quella che più riesce a coinvolgere emotivamente e a creare senso di appartenenza. E c’è bisogno proprio di questo, perché portare proposte positive non è semplice in una città che è abituata alle delusioni”.

Gli esiti del referendum da una parte e l’organizzazione del Primo Maggio dall’altra sembrano dare indicazioni contrastanti sul reale coinvolgimento dei tarantini nel dibattito sul futuro della città. Come stanno realmente le cose?

“Il referendum è stato boicottato in molti modi, e chi voleva farlo fallire ha trovato terreno fertile nell’astensionismo che a Taranto è sempre alto. Ma credo che la politica presto dovrà fare i conti con quei 34mila che sono andati a votare. Il Primo Maggio dà la misura dei progressi fatti negli ultimi anni, e può essere un modo per cambiare l’orientamento di quelli che ‘salgono sul carro del vincitore’: certi valori devono diventare di moda, perché le mode, quando si consolidano, diventano mentalità”.