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“That’s (im)possible”: l’articolo in versione integrale

Quotidiano 2Il 13 gennaio sul Quotidiano di Puglia è uscito un articolo (recensione e intervista all’autore) di Giuliano dedicato a “That’s (im)possible” (Caratterimobili), l’ultimo romanzo dello scrittore barese Cristò. Qui sotto, la versione originale dell’articolo, più lunga di quella pubblicata sul giornale.

Quando si ha a che fare con dei romanzi sotto forma di finto documentario (si chiamano mockumentary) o con altre simili formule narrative, la paura è quella di imbattersi in dei divertissement, magari raffinati e godibili, ma sostanzialmente fini a se stessi. Non è questo il caso di “That’s (im)possible” (Caratterimobili, 8 euro), terzo romanzo dello scrittore e musicista barese Cristò. In “That’s (im)possibile” alla forma si aggiunge la sostanza, cioè il contenuto. Di più: forma e contenuto si compenetrano, risultando reciprocamente funzionali e aumentando il valore del prodotto finale.
Partiamo dal contenuto: That’s (im)possible è una lotteria televisiva basata sull’estrazione di un numero da uno a infinito. L’assurdità dell’idea diventa paradossalmente il motivo del suo enorme successo. Non solo le probabilità di vincita sono pressoché nulle, ma è il gioco stesso a essere impossibile, non esistendo un sistema per selezionare uno fra infiniti numeri, garantendo a ciascuno di essi le medesime probabilità di uscita. Del resto le modalità di estrazione sono segrete, il che dovrebbe aumentare la diffidenza dei giocatori. Ma tutto ciò non sembra interessare ai milioni di persone che cercano di indovinare: la giocata costa poco, il montepremi è enorme e l’occasione è irripetibile, perché dopo la prima vincita la lotteria finirà per sempre.
Ora, la forma: all’espediente del documentario, con l’alternarsi di testimonianze orali delle persone coinvolte a vario titolo nella vicenda raccontata, Cristò aggiunge anche il classico stratagemma del ritrovamento del manoscritto: in una premessa e in una postfazione, un medico si presenta come il destinatario di un plico contenente la sceneggiatura del documentario. Nel gioco scoperto fra finzione e realtà, il medico sostiene che fatti e personaggi contenuti nel documento sono veri, salvo poi suggerire al lettore che lui stesso potrebbe essere un personaggio inventato allo scopo di rendere più credibile la vicenda.
“That’s (im)possible” non è una semplice riflessione sulla febbre da lotterie e giochi d’azzardo. La posta in gioco è molto più alta: è la ricerca della felicità. E’ il concetto di infinito, sospeso fra matematica e filosofia. Sono le grandi domande senza risposta dell’esistenza. “That’s (im)possible” ha anche una sua forza politica, che emerge graduale ma nitida man mano che il mosaico delle testimonianze svela il disegno completo dell’autore (e dell’ideatore della bizzarra lotteria). Funziona molto bene e crea suspense – ecco perché forma e contenuto sono complementari – il progressivo svelarsi della vicenda in tutti i suoi aspetti. Una vicenda di cui gli intervistati parlano al passato, ma che i lettori devono ricostruire pezzo dopo pezzo con impaziente curiosità.
Fra rimandi, citazioni, autocitazioni, falsa realtà e vera fantasia, l’ultimo scherzo è riservato ai primi cinquanta che compreranno il libro presso la Feltrinelli di via Melo a Bari: quel bollino rosso “1 €” che campeggia sulla copertina non è il prezzo del volume, ma il buono per una giocata al lotto da effettuare presso una vicina ricevitoria. La vincita non è garantita, l’arricchimento del pensiero sì.

Cristò (1976) è uno scrittore e musicista barese oltre che organizzatore di eventi culturali. Ha pubblicato i libri “Come pescare, cucinare e suonare la trota” (Florestano 2007), “L’orizzonte degli eventi” (Il Grillo 2011). È caporedattore del free-press Pool academy e collabora con i blog minimaetmoralia e Artribune. Il suo blog è: cantodiscanto.blogspot.com.

Come è nato questo romanzo?

L’idea di una lotteria basata sull’infinito mi è venuta all’improvviso parecchio tempo fa. In quel periodo mi capitava di giocare a “Win for life”, e riflettevo su come una vincita altamente improbabile potesse apparire a portata di mano: azzeccare otto o zero numeri su venti sembra molto più facile che indovinarne tre su novanta, ma in realtà è più difficile. L’idea mi sembrò subito bella, ma anche difficile da realizzare, per cui lasciai perdere.

E poi?

Tempo dopo mi venne a trovare lo scrittore di fantascienza barese Vittorio Catani, chiedendomi di partecipare con un racconto a un’antologia di fantaeconomia. Mi sembrò un segno del destino, anche se poi per questioni di tempi e di lunghezza del testo, l’opera è uscita come libro a sé. Mi rimisi al lavoro, lanciando su Facebook un appello a esperti di matematica competenti anche nella narrativa perché mi chiarissero le idee su alcune questioni, appello raccolto provvidenzialmente da Roberto Natalini, professore universitario e ricercatore del CNR. Ho poi fatto delle ricerche su Bruno de Finetti, uno dei padri della statistica e del calcolo delle probabilità. Un personaggio incredibile, un anticonformista che ha militato nel Partito Radicale e che fra l’altro fu arrestato per le sue opinioni sull’obiezione di coscienza. La figura di de Finetti mi ha ispirato il personaggio di Enrico Marinetti, l’eccentrico ideatore della lotteria.

Perché hai deciso di strutturare il romanzo come un finto documentario?

Mi sono ispirato a “Rabbia” di Chuck Palahniuk, che è fatto proprio in quel modo. Ho pensato che affidare certi argomenti a una voce narrante potesse appesantire troppo la narrazione. Il racconto corale in discorso diretto mi è sembrato più divertente da scrivere e da leggere.

A proposito di divertimento, il testo è pieno di citazioni…

Sì: c’è Vonnegut, c’è Antonio Moresco, c’è “Guida galattica per autostoppisti”… Anche i nomi dei personaggi non sono quasi mai casuali. Le citazioni, in effetti, si inseriscono per divertimento: è difficile che qualcuno le colga tutte, ma è probabile che ciascuno ne colga almeno una.

Perché il documentario è preceduto e seguito dalle note di un medico che dice di averlo ritrovato sotto forma di manoscritto?

Perché proponendo solo il documentario avevo l’impressione che la narrazione fosse troppo chiusa, e non mi piaceva che ogni pezzo andasse perfettamente al suo posto. Ho invece voluto introdurre un finale aperto, e qui entra in gioco un altro rimando, che i lettori per il momento non possono cogliere: la conclusione di “That’s (im)possible” coincide infatti con l’inizio di “La settima vita di Moebius”, un altro mio romanzo che però è ancora inedito.