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“Chiedici la parola”: intervista a Mariella Sciancalepore

Ecco l’intervista a Mariella Sciancalepore, poetessa e curatrice dell’antologia “Chiedici la parola” (Stilo Editrice), che raccoglie le poesie del gruppo Poeti a Bari. Articolo uscito sul Quotidiano di Puglia del 5 giugno.

Dall’esperienza del gruppo Poeti a Bari è nato “Chiedici la parola” (Stilo Editrice, 10 euro), raccolta di opere di quattordici poeti pugliesi, undici delle quali donne. Fra queste, Mariella Sciancalepore, poetessa, docente e operatrice editoriale, che è stata la curatrice del volume.

Cos’è esattamente Poeti a Bari?

“E’ un gruppo nato spontaneamente su Facebook, che si incontra senza frequenza regolare. Abbiamo organizzato alcuni eventi, come delle serate alla Taverna del Maltese in cui leggevamo poesie, ma senza volerci imporre sugli avventori. Il tutto con l’idea di ‘sdoganare’ la poesia, riportarla tra la gente, e senza chiusure ad alcuno: per far parte del gruppo non bisogna necessariamente aver già pubblicato, e neanche essere dei poeti. Di circoli chiusi ce ne sono già abbastanza”.

Poi, la decisione del libro. E’ difficile convincere un editore a pubblicare un’antologia di poesie?

“Nel nostro caso non troppo, perché per Stilo editrice curo la collana di poesia. Si fidano di me, e questo mi fa sentire molto responsabile, tanto che rimando indietro il 90% dei materiali che mi arriva. Ma “Chiedici la parola” ha avuto un’accoglienza molto positiva. Si sa che la poesia non vende tantissimo ma, anche grazie all’impegno degli autori che organizzano presentazioni, si riesce almeno a rientrare delle spese. E poi, se un editore non ha il coraggio di fare neanche l’investimento contenuto necessario per stampare qualche centinaio di copie, che editore è? Bisogna rischiare un po’, non si può avere sempre la pappa pronta”.

Perché ‘Chiedici la parola’?

“E’ un rovesciamento della poesia ‘Non chiederci la parola’, con cui Montale invitava a non pretendere dalla poesie verità assolute che essa non può dare. Ma oggi ai poeti non si chiede più nulla, e noi pensiamo che se si ricominciasse a chieder loro cosa pensano del mondo, forse il mondo andrebbe un po’ meglio. Nella prefazione ho voluto citare queste parole di Serge Pey: ‘Oggi il messaggio della poesia è esemplare. Il poeta deve essere un resistente. La difesa della poesia è la difesa dell’uomo intero’”.

Cosa serve per ‘sdoganare’ la poesia?

Bisogna lavorare sui lettori, iniziando dalla scuola. L’approccio corrente uccide la poesia. Se vivisezioni un animale davanti a un bambino, difficilmente il bambino se ne innamorerà. Allo stesso modo, imparare le poesie a memoria e farne la parafrasi va anche bene, ma non prima di averle lette, ascoltate, di averne apprezzato la musicalità e il fascino. Ai ragazzi leggo le poesie anche in momenti non convenzionali, per esempio durante le pause. Poi chiedo loro di scriverne di nuove, partendo da una parola qualsiasi. Sono esercizi simili alla tecnica del caviardage, che è una delle mie passioni più recenti.

Parlacene.

Si tratta di annerire con tratti di pennarello il testo della pagina di un libro, ad eccezione di alcune parole che, lette in sequenza, danno vita a una piccola poesia, o a un componimento il cui senso è di solito diverso da quello originario della pagina. Sogno di pubblicare un libro che unisca il caviardage agli scarabocchi zen, o zentangle, che sono l’evoluzione artistica dei ghirigori che a tutti noi capita di fare distrattamente ai margini di quaderni e bloc notes.