Sul Quotidiano dell’11 ottobre Giuliano racconta una giornata calcistica molto particolare, fra celebrazioni di eterni idoli e vecchietti mischiati agli ultrà. Il titolo è “Tu chiamale se vuoi…”
E pensare che c’è ancora chi sostiene che il calcio sia solo un gioco. Oppure, con più sarcasmo, che si tratti semplicemente di “ventidue uomini in mutande che corrono dietro a un pallone”. Provino a spiegarlo ai seicento tarantini che l’altro ieri, da mezza Italia, si sono riversati al Giglio di Reggio Emilia. E in un solo pomeriggio hanno provato sensazioni che a volte non basta un anno.
Intorno e dentro lo stadio solo vessilli rossoblu. Sembra di giocare in casa, anche perché fra chi ci ospita c’è qualcuno che ci vuole bene. Loro due, ad esempio: Paola e Rosy, al centro del campo per ritirare una targa commemorativa. La moglie e la figlia di Iacovone. Sulla tomba di Erasmo per tutto il weekend si è svolto un composto pellegrinaggio. In questa venerazione che non finisce mai c’è tutto: la passione, il bisogno di simboli, il ricordo mai sbiadito di un ragazzo, prima che di un calciatore. “La nostra piccola Superga”: di lutti il calcio ne ha conosciuti tanti, ma solo al Taranto è capitato di perdere il miglior giocatore nel momento più alto della propria storia calcistica.
“Iacovone-alè-alè”, “Iacovone unica bandiera”: si alzano i cori di sempre; sugli spalti corrono brividi e il venticello fresco di questo autunno che alla fine è arrivato non c’entra proprio niente.
Ma chi è quella coppia di signori anziani, proprio al centro della “Torcida” tarantina? L’arcano si scioglie verso la metà del primo tempo, con una voce che si propaga di bocca in bocca a tutto il settore: sono i genitori di Dionigi! Eccoli, gli altri padroni di casa che ci vogliono bene. Che i parenti del Mister sarebbero stati allo stadio era cosa nota. Che abbiano scelto di mischiarsi alla scamunera cozzarula, questa invece sì che è una sorpresa. Che merita un ringraziamento: i capi del tifo abbandonano per un attimo i “Rossoblù alè” e i “Ci no’ zumpa…” per chiamare l’applauso in stile ricevimento di matrimonio. Coerentemente, la folla, fra i battimani, urla “ba-cio, ba-cio!”, e la signora Maria e il signor Eugenio non si fanno pregare per esaudire la richiesta.
Nell’intervallo il settore rossoblu è scosso da un altro fremito: Rosy e Paola sono venute a salutare. Mora una, bionda l’altra, entrambe belle. Rosy sorride, e canta coi tifosi i cori che riprendono ad alzarsi, insieme agli applausi scroscianti. Per lei, che trentatrè anni fa ancora non c’era, oggi è tutta una questione di gioia e orgoglio. Paola invece è seria, forte e dignitosa: solleva la sciarpa con quell’espressione che ormai le conosciamo. In lei gioia e orgoglio si mischiano al dolore e al rimpianto.
“Paola Raisi una di noi!” si canta. Più avanti, dopo l’espulsione, anche “Dionigi uno di noi!”. Grazie a entrambi. Ma al di là di tutto, la cosa più bella del pomeriggio è proprio sentirsi parte di un “noi”.
La partita è adrenalina pura. Guazzo, Di Deo e tutti gli altri fanno vibrare i cuori dei supporter ionici, che si danno i pizzicotti per convincersi che è tutto vero. Fino alla fine, quando squadra e tifosi si guardano allo specchio, trovandosi reciprocamente bellissimi.
“Vi Vogliamo così” urlano i tifosi ai giocatori.
“Vi vogliamo così” rispondono i giocatori ai tifosi.
…Emozioni.