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Taranto anno zero (La città perduta)

Versione estesa dell’articolo “La città perduta”, uscito sul Quotidiano di Puglia del 29 luglio.

Qual è quella città dove non si producono né cozze né acciaio, e dove non esiste una squadra di calcio dai colori rossoblu? Incredibile, ma è Taranto. O, almeno, la Taranto di questi giorni. La produzione più significativa da un punto di vista della tradizione, e quella egemone, praticamente monopolistica, sotto il profilo economico, non ci sono più. E il calcio, i cui piccoli drammi scompaiono di fronte ai drammi veri della città, non ha rinunciato al suo consueto ruolo metaforico, contribuendo, con la momentanea assenza di un club cittadino, a sottolineare l’unicità di questo momento per Taranto. Una città che è in crisi anche di identità. Taranto per come la conosciamo, oggi non esiste più. Taranto in questo momento non è niente. E però potrebbe essere tutto. Mica male, per un posto dove da sempre regna la convinzione che nulla mai possa cambiare. Bene, signori: ora sta cambiando tutto.
Ed è strano pensare che, proprio adesso che Taranto non è più Taranto, l’intero Paese si sia finalmente accorto della sua esistenza. Buongiorno, Italia! Ora non puoi più far finta che Taranto non esista. Ora devi accettare il fatto che i problemi di Taranto sono anche i tuoi problemi. In un recente film, il Nordest si risvegliava improvvisamente privo di extracomunitari. E si rendeva conto che, senza quella gente malsopportata e per nulla considerata, tutto il sistema si inceppava irreparabilmente. Ecco: Taranto, come gli immigrati più umili, ha fatto per decenni il lavoro sporco in silenzio, perché il sistema industriale italiano potesse funzionare. Ora sta presentando il conto.
La disposizione di chiusura dell’area a caldo Ilva è un evento traumatico. Da più parti ci si è chiesto: non si poteva procedere in modo più graduale e ragionato? Certo che si poteva, anzi si doveva. Ma in cinquant’anni non lo si è mai fatto, ponendo in questo modo le premesse per il disastro attuale. E trasformando l’extrema ratio del Gip Todisco nell’unica possibile soluzione. Lo dimostrano gli stanziamenti e i protocolli d’intesa sbocciati come per magia a poche ore dal provvedimento di chiusura. Non ci si poteva pensare prima, con qualche centinaio di morti in meno sulla coscienza e senza diecimila operai in mezzo a una strada? Si poteva e si doveva, ma, si sa, in Italia è l’emergenza il motore di ogni cosa.
La situazione attuale appare assurda, surreale, ma è la logica conseguenza di una lunga catena di azioni ed omissioni. E, a sforzarsi di guardare le cose con serenità, tutti, almeno oggi, si stanno comportando nell’unico modo possibile. Patrizia Todisco non è né un’eroina né una carnefice: davanti a simili evidenze il suo è stato un atto dovuto. Gli operai scendono in piazza: cos’altro potrebbero fare? Non possono dirlo, ma molti, in cuor loro, sanno che la colpa, più che della magistratura, è del loro datore di lavoro. I sindacati cercano di difendere l’occupazione: è per quello che esistono. Certo se negli anni passati avessero almeno provato a far rientrare l’Ilva nel consesso del mondo civile, ora non starebbero a bivaccare sulla Statale 106. La politica locale si barcamena fra esigenze lavorative e ambientali, nell’estremo tentativo di farle coesistere. Gli attuali governanti, sul tema, hanno fatto molto più dei loro predecessori (che non avevano fatto niente), ma molto meno di quanto sarebbe stato necessario per scongiurare la crisi di questo momento. Infine la politica nazionale, frettolosamente corsa ai ripari con in mano una patata bollente che tutti i governi precedenti si erano palleggiati. L’unico fuori parte è Clini, che si comporta da ministro delle Attività Produttive (o da presidente di Confindustria) più che da ministro dell’Ambiente. Una stonatura che si riscontra anche in parecchia stampa nazionale, dove si parla con toni drammatici delle conseguenze (la chiusura degli impianti) sorvolando con disinvoltura sulle cause (il disastro ambientale).
Infine, fanno orrore certi “opposti estremismi” che affiorano in città in queste ore convulse. Chi pensa che, con migliaia di famiglie e un intero sistema economico sull’orlo del baratro, ci sia qualcosa da festeggiare. E chi, invece, liquida le lotte per l’ambiente, combattute nel nome di centinaia di morti, come una faccenda da fighetti radical chic che non hanno voglia di lavorare.
Forse è l’ora di capire una buona volta che questa battaglia o la vinciamo tutti o la perdiamo tutti. Ogni cosa è in gioco, adesso. Rischi e opportunità appaiono pressoché infiniti. Morire o risorgere. C’è di che spaventarsi. Ma, in fondo, tutto è meglio della morte lenta a cui la città – quella del lavoro e quella dell’ambiente – sembrava condannata fino a qualche giorno fa. Prima che Taranto, come la conoscevamo, smettesse di esistere.

Se Taranto fa notizia solo per una pistola

Articolo pubblicato sul Quotidiano di Puglia del 25 maggio.

Contrordine: Taranto esiste, e ha un sindaco pistolero. Giorni fa, al grido di “Taranto non esiste”, avevamo denunciato l’inspiegabile assenza delle elezioni comunali di Taranto dai media nazionali. Bene, eccoci serviti: allo spuntare della rivoltella malandrina dalla cintola del sindaco appena eletto, tutti si sono ricordati di quella strana città che sta laggiù da qualche parte, affacciata su due mari. Forse è la prima volta che un sindaco del capoluogo ionico merita una foto in prima pagina sul più diffuso quotidiano del Paese. Intendiamoci, la notizia era ghiotta, e non deve stupire il rilievo che le è stato attribuito. Ma di fronte a questa improvvisa attenzione, spicca ancora di più, per contrasto, l’indifferenza che fino al giorno prima aveva avvolto le vicende elettorali di una città di duecentomila abitanti afllitta da problemi che hanno, o dovrebbero avere, rilevanza nazionale.
Non si intende, qui, condannare o assolvere Ippazio Stefano. Quello è un giudizio che chiunque ha già dato per conto proprio (e chi conosce la storia personale del sindaco l’ha fatto con più cognizione di causa). Si intende, piuttosto, riflettere su un modo di fare informazione che è più attento al sensazionale che al sostanziale E, in particolare quando si parla di sud, evidenzia i problemi e trascura i tentativi di risolverli. Non a caso, del sindaco di Taranto si è parlato soprattutto ai tempi di Giancarlo Cito (the original sheriff…) e quando, qualche mese fa, alla poltrona di primo cittadino volevano candidarsi due pornostar. Del dissesto della gestione Di Bello si discusse parecchio nel momento della sua esplosione. Molto meno se ne parlò prima (quando poteva essere denunciato) e dopo, quando la città ha lottato duramente per tirarsene fuori.
Tornando alla pistola di Stefano, è chiaro che è necessaria da parte dei tarantini un’attenta riflessione critica sull’atteggiamento del sindaco e sul contesto ambientale che può averlo determinato. Limitarsi a inveire contro il nord cattivo che gode a metterci in ridicolo sarebbe uno sterile esercizio di vittimismo. Ma altrettanto inutile e sbagliata sarebbe l’autoflagellazione fine a se stessa, la lagna colpevolizzante del “sempre ci facciamo conoscere”. Taranto è una città complessa, che va rappresentata per quello che è, né meglio né peggio, ma senza facili scorciatoie e cadute nei luoghi comuni. Niente paura, comunque: se ciò non accade non è per un complotto dei poteri forti, ma per pura cialtroneria.

Taranto non esiste

Articolo pubblicato sul Quotidiano di Puglia del 9 maggio.

Le elezioni a Taranto? Non ci sono state. O almeno questo è quanto si dovrebbe dedurre da un giorno e mezzo di maratona sintonizzati sulle principali emittenti televisive nazionali. Lo zapping è selvaggio, ma della quarta città per numero di abitanti fra quelle chiamate alle urne, nel video non c’è traccia alcuna.
Palermo, Genova, Verona… dopo dovrebbe toccare a Taranto, ma l’altro comune su cui vengono attivate le proiezioni degli istituti statistici per Rai e La7 è Parma. Poco male, si pensa, prima o poi qualcuno parlerà anche della città dei due mari. Macchè: Sky ha approntato collegamenti con dieci città; c’è pure Catanzaro, ma Taranto no. Anche il giorno dopo, quando i dati sono ormai acquisiti (lo spoglio in riva allo Ionio va sempre molto a rilento), sui principali tg ascoltiamo con pazienza gli esiti di Monza, Piacenza, Cuneo, Gorizia e Agrigento ma niente, l’attesa è vana. E sui siti internet non va molto meglio: si leggono le cifre, solo quelle, ma neanche un commento.
Eppure gli elementi di interesse nella competizione elettorale tarantina c’erano tutti. Un sindaco uscente che cinque anni fa, in stile Vendola, si era imposto da outsider alle primarie, sobbarcandosi il compito di risollevare la città dal rovinoso dissesto. Un leader nazionale di partito che si candida alla testa di una squadra composta dalla società civile, col proposito di trasformare Taranto in un laboratorio di sostenibilità ambientale. Il figlio d’arte di un ex sindaco in galera che cerca di rinverdire i successi di famiglia (se Renzo Bossi è “il Trota” che soprannome avrebbero trovato a Mario Cito? “Il cefalo”?!). Infine, lo spropositato numero di candidati sindaci.
E anche gli esiti del primo turno, con il dato di Stefàno che ha danzato a lungo intorno al 50%, di spunti ne avrebbero offerti parecchi.
Va detto che ultimamente di Taranto si era parlato parecchio. Le recenti udienze avevano acceso i riflettori sulla questione ambientale, e le due manifestazioni contemporanee (operai Ilva e ambientalisti) avevano ingolosito le redazioni nazionali. I grandi media si erano ricordati di Taranto, cadendo peraltro in pieno nella trappola mediatica di chi, orchestrando quella concomitanza, cercava di spacciare per dato di fatto una semplice opinione, e cioè che ambiente e lavoro fossero incompatibili.
Ma tutto ciò non è valso la benché minima attenzione in sede elettorale. Evidentemente interessano i problemi, non le possibili soluzioni.
Perché tanta disattenzione? Taranto, l’abbiamo detto altre volte, non esiste nell’immaginario collettivo, non corrisponde a niente di preciso. Ed è anche un mondo a parte, difficile da capire, che fa storia a sé. E’, infine, una città “scomoda”, che pone delle questioni capaci di mettere in imbarazzo diverse parti politiche. Un po’ come L’Aquila, e infatti anche del capoluogo abruzzese in questa tornata elettorale si è parlato pochissimo.
Siderurgico e Marina Militare fanno di Taranto un luogo di rilevanza nazionale. Ma se le decisioni a livello nazionale incidono molto sui destini dei tarantini, la designazione del sindaco di Taranto non ha alcuna influenza sugli equilibri politici del Paese. E forse, anche sui grandi problemi della città, ha meno influenza di quanto si potrebbe pensare. Oppure queste sono solo elucubrazioni senza importanza e la verità è molto più semplice: se almeno una delle due famose pornostar si fossero candidate per davvero alla poltrona di sindaco di Taranto, qualche macchina targata Roma o Milano dalle parti del Palazzo del Governo si sarebbe vista.