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Con il Carpi nel segno di Iacovone

Articolo uscito sul Quotidiano di Puglia del 5 maggio.

Che playoff siano, dunque. Domenica ad Avellino, si concluderà una regular season che verrà ricordata a lungo, a prescindere dai verdetti finali che darà. Una tappa, quella irpina, importantissima. Dionigi e i suoi, c’è da esserne sicuri, la stanno preparando al meglio. La testa dei tifosi, però è già a ciò che succederà dopo.
Senza penalizzazioni si sarebbe a un passo dalla promozione diretta. Con il -7, per ora, ci si è guadagnati l’accesso agli spareggi finali. Resta da scoprire se li giocheremo da secondi o terzi classificati, e contro quali avversari.
E’ andata così anche quest’anno. Inutile, a questo punto, continuare a lambiccarsi fra rimpianti e recriminazioni. La somma di meriti e demeriti del Taranto (squadra e società) ha prodotto questo piazzamento. Ora la parola spetta solo al campo. E in un torneo pesantemente influenzato da fattori extracalcistici, sarà proprio il campo a determinare il giudizio finale su D’Addario. Chi vince, si sa, ha sempre ragione. Quanto ai vinti, guai a loro.
Nel frattempo i supporters si preparano all’ormai consueto dolce tormento di tarda primavera. I playoff, ancora loro. Del resto, che i tifosi tarantini siano nati per soffrire, lo sappiamo già da tempo. E quanto ci piace, soffrire tutti insieme, come è bello questo pathos che ci affratella. A patto, però, che questa sia la volta buona per il lieto fine. Ci sembra di essercela guadagnata, no?
La febbre, inesorabile, inizia a salire. Si consultano le agende, si blindano i weekend, si evitano come la peste gli improvvidi inviti a matrimoni e prime comunioni. Si elaborano le prime strategie di accaparramento biglietti, per uno stadio che, semivuoto per tutta la stagione, tornerà improvvisamente a essere troppo piccolo. Intanto i trasfertisti fanno il tagliando alla macchina e calcolano distanze chilometriche. In attesa di sapere quali avversari ci toccheranno in sorte, l’unica certezza è che si giocherà in stadi lillipuziani, quindi anche fuori casa la caccia ai biglietti sarà spietata. E proprio dal fronte stadi arriva l’ultima suggestione, quella che potrebbe dare a questa stagione indimenticabile un finale (e una finale) di quelli che neanche i romanzieri sarebbero in grado di immaginare. Il Carpi, che ha giocato tutto il campionato al “Giglio” di Reggio Emilia, per i playoff tornerà nel suo “Cabassi”, il piccolo impianto di cui si è appena conclusa la ristrutturazione. A Carpi c’è una delle piazze più belle e grandi d’Italia, e poi c’è Erasmo Iacovone. L’idolo rossoblu riposa nel cimitero cittadino, a poche centinaia di metri dallo stadio. Un confronto fra il Taranto e gli emiliani, vedrebbe i nostri giocare “in casa” entrambi gli incontri: a Taranto allo “Iacovone”, e a Carpi… da Iacovone. Se non è un segno del destino questo…

Restiamo uniti

L’articolo sulla difficile situazione economica del Taranto apparso sul Quotidiano del 16 febbraio.

Restamo uniti. Il tormentone sanremese di Gianni Morandi è un invito che la piazza calcistica tarantina, fiaccata da mancati pagamenti e inevitabili penalizzazioni, farebbe bene a raccogliere.
Le chances di promozione diretta si riducono al lumicino, il giocattolo è sul punto di rompersi, e si scatena la caccia al colpevole.
Ma la colpa di chi è? Di tutti, ma in fondo di nessuno. Detto così sembra il solito qualunquismo autoassolutorio all’italiana. Invece vuole essere solo una serena analisi della realtà. E un tentativo di non mandare tutto a monte.
La colpa è di D’Addario? Tecnicamente sì, perché è lui, e non altri, ad essersi assunto degli impegni che ora non è in grado di onorare. Ma vogliamo davvero gettare la croce addosso all’unico che si è esposto, l’unico che sta rischiando di suo? Un Taranto così forte non si vedeva da decenni, e fino a prova contraria la squadra l’ha costruita lui, prima scommettendo su Dionigi e poi mettendolo nelle condizioni migliori per lavorare. Ora naviga in cattive acque, più a causa della crisi economica che colpisce le sue aziende che per una cattiva gestione dell’AS Taranto. Cosa dovrebbe fare, licenziare i suoi dipendenti per pagare i giocatori?
La colpa è degli imprenditori locali? Mai stati molto dinamici, lo sappiamo. E neanche propensi ad aiutarsi e a fare sistema. In fondo era stato D’Addario, in tempi di vacche grasse, a dire “faccio da me”. Poi, fra main sponsor e l’iniziativa “Un sogno che cavalca un sogno”, ha spremuto dal territorio quello che si poteva spremere. La crisi è a volte una brutta realtà, altre una buona scusa. Ma perché gli imprenditori dovrebbero assumersi gli oneri, se gli eventuali onori saranno tutti di D’Addario?
La colpa è dei politici locali? Sul loro operato generale ognuno ha la propria opinione e molte, legittimamente, non sono tenere. Ma nel caso specifico, cosa gli si rimprovera? Il fund raising a favore di aziende private (sebbene “di interesse pubblico”, come un club calcistico) non rientra fra i loro compiti. Possono – e devono – fare da intermediari, avvicinare le parti, ma certo non possono – e non devono – costringere un’azienda a finanziarne un’altra. Soprattutto non devono indebolire (ulteriormente) la loro posizione nei confronti della grande industria andando a chiederle l’elemosina per conto terzi.
La colpa è della grande industria? Cosa le stavamo chiedendo? Una sponsorizzazione? Un pegno? Un obolo? Il problema è che Cementir, Eni e Ilva non hanno alcun interesse a sponsorizzare il Taranto o qualsiasi altra realtà locale, per il semplice motivo che il loro mercato è globale. Non sono, per intederci, la Birra Raffo. Non vendono la loro merce ai tifosi del Taranto. Il solo motivo per cui possono finanziare iniziative sul territorio è perché vogliono farsi ben volere, o farsi perdonare qualcosa. Per fortuna non l’hanno fatto: barattare i diritti al lavoro e alla salute con due lire alla squadra di calcio sarebbe stata una cosa da terzo mondo. Dice: ma colonizzano e avvelenano il nostro territorio. Sì, ma eventuali compensazioni e risarcimenti li decidono la legge e la magistratura, non certo l’incombere di qualche punto di penalizzazione. E qualora dovessero arrivare, questi soldi, li si dia ai mitilicultori, agli allevatori che hanno perso tutto, alle famiglie dei morti di lavoro e di tumore. Il nostro cuore batte per il Taranto, d’accordo, ma ricordiamoci anche dei cuori che non battono più. Siamo seri.
Tutto a posto, quindi? Neanche per sogno. Vedere un progetto così bello sul punto di crollare fa male quasi fisicamente. Purtroppo in questo momento possiamo fare poco per migliorare la situazione. In compenso, e questo è il punto, buttandoci nel gioco al massacro delle colpe e delle recriminazioni rischiamo di fare molto per peggiorarla. Se amiamo davvero il Taranto, mettiamo da parte le critiche, i giudizi sommari e il tutti contro tutti. Cerchiamo invece di stringerci attorno alla squadra, andiamo più numerosi allo stadio e prendiamocela sul campo, questa promozione. Se ci riusciremo, fra mille difficoltà, sarà ancora più bello. Di “eroi dei due mari”, di “deus ex machina” che spuntano dal nulla e ci tolgono dai guai, non se ne sono visti nemmeno stavolta. Se alla fine di questa storia ci saranno degli eroi, saranno quelli che ben conosciamo già da parecchio tempo: Dionigi e i suoi ragazzi. Senza macchia, senza paura e senza stipendio.

Emozioni calcistiche sul Quotidiano

Sul Quotidiano dell’11 ottobre Giuliano racconta una giornata calcistica molto particolare, fra celebrazioni di eterni idoli e vecchietti mischiati agli ultrà. Il titolo è “Tu chiamale se vuoi…”

E pensare che c’è ancora chi sostiene che il calcio sia solo un gioco. Oppure, con più sarcasmo, che si tratti semplicemente di “ventidue uomini in mutande che corrono dietro a un pallone”. Provino a spiegarlo ai seicento tarantini che l’altro ieri, da mezza Italia, si sono riversati al Giglio di Reggio Emilia. E in un solo pomeriggio hanno provato sensazioni che a volte non basta un anno.
Intorno e dentro lo stadio solo vessilli rossoblu. Sembra di giocare in casa, anche perché fra chi ci ospita c’è qualcuno che ci vuole bene. Loro due, ad esempio: Paola e Rosy, al centro del campo per ritirare una targa commemorativa. La moglie e la figlia di Iacovone. Sulla tomba di Erasmo per tutto il weekend si è svolto un composto pellegrinaggio. In questa venerazione che non finisce mai c’è tutto: la passione, il bisogno di simboli, il ricordo mai sbiadito di un ragazzo, prima che di un calciatore. “La nostra piccola Superga”: di lutti il calcio ne ha conosciuti tanti, ma solo al Taranto è capitato di perdere il miglior giocatore nel momento più alto della propria storia calcistica.
“Iacovone-alè-alè”, “Iacovone unica bandiera”: si alzano i cori di sempre; sugli spalti corrono brividi e il venticello fresco di questo autunno che alla fine è arrivato non c’entra proprio niente.
Ma chi è quella coppia di signori anziani, proprio al centro della “Torcida” tarantina? L’arcano si scioglie verso la metà del primo tempo, con una voce che si propaga di bocca in bocca a tutto il settore: sono i genitori di Dionigi! Eccoli, gli altri padroni di casa che ci vogliono bene. Che i parenti del Mister sarebbero stati allo stadio era cosa nota. Che abbiano scelto di mischiarsi alla scamunera cozzarula, questa invece sì che è una sorpresa. Che merita un ringraziamento: i capi del tifo abbandonano per un attimo i “Rossoblù alè” e i “Ci no’ zumpa…” per chiamare l’applauso in stile ricevimento di matrimonio. Coerentemente, la folla, fra i battimani, urla “ba-cio, ba-cio!”, e la signora Maria e il signor Eugenio non si fanno pregare per esaudire la richiesta.
Nell’intervallo il settore rossoblu è scosso da un altro fremito: Rosy e Paola sono venute a salutare. Mora una, bionda l’altra, entrambe belle. Rosy sorride, e canta coi tifosi i cori che riprendono ad alzarsi, insieme agli applausi scroscianti. Per lei, che trentatrè anni fa ancora non c’era, oggi è tutta una questione di gioia e orgoglio. Paola invece è seria, forte e dignitosa: solleva la sciarpa con quell’espressione che ormai le conosciamo. In lei gioia e orgoglio si mischiano al dolore e al rimpianto.
“Paola Raisi una di noi!” si canta. Più avanti, dopo l’espulsione, anche “Dionigi uno di noi!”. Grazie a entrambi. Ma al di là di tutto, la cosa più bella del pomeriggio è proprio sentirsi parte di un “noi”.
La partita è adrenalina pura. Guazzo, Di Deo e tutti gli altri fanno vibrare i cuori dei supporter ionici, che si danno i pizzicotti per convincersi che è tutto vero. Fino alla fine, quando squadra e tifosi si guardano allo specchio, trovandosi reciprocamente bellissimi.
“Vi Vogliamo così” urlano i tifosi ai giocatori.
“Vi vogliamo così” rispondono i giocatori ai tifosi.
…Emozioni.