In Quante Storie, trasmissione di Raitre presentata da Corrado Augias, Giuliano ha raccontato la storia di Vincenzo Fornaro, l’allevatore tarantino che, dopo l’abbattimento del suo gregge contaminato da diossina, ha avviato una coltivazione sperimentale di canapa.
La canapa è una produzione emergente. Ha tantissimi usi (dall’alimentazione all’edilizia, dalla medicina all’energia) e una caratteristica: assorbe gli inquinanti presenti nel terreno. La scelta di Vincenzo ha quindi un forte valore simbolico. Ma non è solo simbolica: attorno alla canapa si sta formando nel tarantino una vera filiera: è stato già aperto un centro di prima trasformazione, uno dei due in Italia, mentre un imprenditore sta investendo sulla produzione di mattoni in calce e canapa.
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Lettera aperta a Giuliano Pavone
E’ la prima volta che mi ritrovo a scrivere una e-mail ad un autore di un libro, la rete dà quest’illusione di esser più vicina a tutti invece, la lettura di un romanzo, ti fa pensare di conoscere il suo autore. Con questa premessa mi è venuta la stramba idea di scriverle -rigorosamente di getto- una e-mail signor Pavone.
Mi presento, sono Beniamino Santoro ho ventidue anni e sono di Salerno. Sono iscritto alla facoltà di Scienze Politiche e, con i dovuti scongiuri, entro quest’anno dovrei laurearmi. Il mio grande sogno però è vivere grazie alla scrittura (lo so, un altro morto di fame all’orizzonte penserà) ed è per questo che già da due anni lavoro come giornalista per una testata regionale dove, con sangue e sudore, ho maturato i requisiti previsti per l’iscrizione nell’albo dei giornalisti pubblicisti.
Non mi reputavo il tipo da “13 sotto il Lenzuolo”, ho sempre letto roba tipo “I Segreti del Vaticano” di Augias, “La giustizia dei Vinti” di Michele Vietti, “50 Grandi Idee di Economia” di Conway; un genere saggistico, d’informazione considerato dai più deprimente.
Il compleanno di mio padre era alle porte, cosa regalare ad un ex commissario in pensione? Abbiamo acquistato da poco una villetta con giardino, il sogno di una vita (quella di mio padre) che si realizza. Vederlo ritirato a vita privata, a mo’ di cincinnato, però non mi piaceva un granché, anzi non la digerivo affatto. «Un libro è quello che ci vuole!». La lampadina del mio cervelletto (fulminata da un po’) ricominciò a brillare di luce propria. Armato di buona volontà comincio a vagabondare sulla rete e, leggendo un paio di becere recensioni, capisco che “13 sotto il Lenzuolo” è quello che serve al mio Babbo. Una lettura leggera, che parla dei suoi anni e che gli faccia capire che il cincinnato lo potrà fare quando avrà 70 e non 50 anni. L’espressione di Papà all’apertura del regalo mi ha fatto ben sperare, ho pensato «sono un genio, ho capito cosa voleva e forse mi rifila pure una 50 euro per essermi immedesimato nei suoi gusti letterari». Da lì a poco capii che il mio Papà di gusti letterari non ne aveva proprio, lui è un self-made-man e questo genere di cose non lo attrae, con le dovute distanze mi ha ricordato la Morena Dani: “Mia moglie è tanto una brava donna, ma non è quel tipo di persona a cui viene voglia di leggere un libro. Neanche se l’ha scritto suo marito. Neanche se parla di lei”. La 50 euro, comunque, non tardò ad arrivare.
“Il carattere dell’uomo è il suo demone”, diceva il vecchio Eraclito. Ero partito con l’idea sbagliata di “cambiare” un uomo che in realtà era già perfetto così, semplice anche quando la vita lo aveva fatto diventare importante. Vedere quel libro in un angolo mi fece specie, senza pensarci su due volte lo portai frettolosamente dal comodino della stanza dei Miei sulla mia scrivania. Sarà stata la noia mortale della macroeconomia e della bilancia dei pagamenti, sarà che quando sono sotto esame spesso fisso il vuoto per ore, ore interminabili. Capito che l’impasse non era al momento superabile prendo con forza il libro e comincio a sfogliarlo. Due giorni, poof! Il libro è terminato. Come è stato mai possibile? Mi sono emozionato e rivisto in quei luoghi e in quelle scene.
La descrizione perfetta e suggestiva di ogni avvenimento aveva creato in me un tourbillon di sentimenti diversi e mi aveva fatto tornare la voglia di scrivere, sì proprio quella che da tempo non c’era. Se n’era andata per via del precariato giornalistico che uccide, a causa di quei quattro spiccioli e di quella poca considerazione nonostante il “culo a tarallo”, perdonate l’icastico francesismo.
Le mando questa mail per capire come si fa a diventare dei veri giornalisti, degli autori di Serie A e non del quartierino, le mando questa mail perché in un periodo di congiuntura come il medesimo tutto sembra più difficile e l’opinione di “uno che ce l’ha fatta” sarebbe una piccola chiave di volta.
Ora la smetto. Se mai leggerà questa mail sappia che ha un nuovo lettore.
Con stima, un praticante giornalista.
Caro Beniamino,
ti ringrazio per la tua email, che mi ha fatto capire almeno due cose. La prima: tuo padre è un mito. La seconda: hai un certo talento nello scrivere. Ma il talento – e qui inizio a risponderti – non basta: è condizione necessaria ma non sufficiente. “10% inspiration, 90% transpiration”, diceva un famoso golfista di cui non ricordo il nome e del quale non vorrei mai annusare le ascelle. Insomma, ispirazione ma anche “culo a tarallo” (anch’io adoro i francesismi), oppure “talento & tigna”, come dice la mia amica Mafe De Baggis in un post che ho letto proprio il giorno in cui ho ricevuto il tuo messaggio e che ti invito a leggere insieme a quest’altro (e con questo ti ho svelato un segreto da giornalista: ottimizza tempi e risorse, sfrutta l’esistente!).
I post di Mafe, fra le altre cose, suggeriscono una strada che comunque tu, da nativo digitale (e “nativo precario”…) non farai fatica a comprendere (al contrario di quelli della mia età che l’hanno dovuta imparare, o devono ancora farlo): quella dell’iniziativa autonoma, dell’autopubblicazione, dell’autopromozione. Che non è a mio parere sempre la soluzione ideale, ma che è una delle soluzioni possibili. E che aiuta a relativizzare – e considerare per quello che sono – le strade tradizionali. (Se poi tutto questo non basterà a darti un reddito sufficiente, potrai sempre continuare a regalare i miei libri a tuo padre: spendere 16 euro per averne in cambio 50 mi sembra un ottimo investimento…).
E’ sempre difficile trovare il giusto equilibrio fra umiltà e umiliazione, fra ambizione e presunzione, ma credo che cercarlo sia uno degli aspetti più importanti del nostro lavoro. Cavandomela con uno slogan, posso dirti che secondo me l’atteggiamento giusto è puntare sempre al massimo ma saper apprezzare anche il minimo. Scrivere è così bello che lo fanno in tanti, di conseguenza bisogna essere molto esigenti con se stessi per riuscire ad emergere (puntare al massimo) e al contempo bisogna essere consapevoli che nessuno sta aspettando proprio il nostro articolo/racconto/romanzo (saper apprezzare anche il minimo). Dobbiamo ricordarci che il mondo va avanti tranquillamente anche senza la nostra meravigliosa scrittura, e che quindi se non riscuotiamo il successo che crediamo di meritare, il problema è solo nostro. E ogni affermazione o riconoscimento, per quanto piccolo (una copia venduta, una persona che viene a una tua presentazione, una recensione solo parzialmente positiva) è una benedizione di cui essere riconoscenti e orgogliosi. Ma senza per questo accontentarsi.
E a proposito del nostro lavoro, ci sarebbe da stabilire cosa significa essere dei “veri giornalisti”, degli “autori di Serie A”, o essere “uno che ce l’ha fatta”. Perché se per “vivere di scrittura” intendi scrivere un romanzo ogni tanto, seguendo la tua ispirazione, e campare di quello, be’ Beniamino, temo che abbia mandato la tua email alla persona sbagliata. Ma credo anche che sarebbero poche in Italia le persone titolate a risponderti. Se invece intendi scrivere (articoli e libri) parecchio, non sempre di quello che ti piace, per una gamma di compensi che oscilla abbastanza casualmente fra “molto poco” e “un bel po’”, allora qualche titolo l’ho anch’io. E l’unica cosa che mi sento di dirti è che, in una sorta di processo di selezione naturale, sarai tu stesso a capire di essere un vero giornalista o autore se vedrai che nessuna delusione o porta in faccia ti toglierà la voglia di scrivere.
Con simpatia,
Giuliano