Giuliano Pavone
13 sotto il lenzuolo
Pagg. 224
Euro 16
Nel settembre 1982 a Sprusciàno, un insignificante paese della bassa Puglia, Federico Nugnes Peluso, ventiduenne rampollo di una famiglia nobile in decadenza, aspetta a riprendere gli studi universitari a Milano per lavorare, nel finale della stagione estiva, all’Hotel Paradise. In quel «candido eden cementizio di recente costruzione» stanno per iniziare le riprese di una delle ultime commedie sexy, in voga per un decennio ma ormai in declino: questa in lavorazione a Sprusciàno (senza ancora un titolo e con una troupe formata da personaggi variamente abbrutiti dalla vita) è particolarmente sgangherata e rappresenta il livello zero del genere. Ma nel cast spicca Morena Dani, starlette di secondo piano, che per avvenenza non ha nulla da invidiare alle più note Fenech, Cassini e Bouchet.
È proprio la presenza della bella del film ad accendere la miccia di una storia ritmata e irriverente legata alla finta vincita di un 13 miliardario che cambierà in maniera imprevedibile le vite dei protagonisti.
A distanza di trent’anni, Federico è un uomo di successo e ci racconta la fine della vicenda, svelando come il destino, battendo strade tortuose e sbilenche, sia l’unico a comandare la partita.
Come già ne L’eroe dei due mari, Pavone miscela con passione e lucidità gli ingredienti della migliore Commedia all’italiana: alla risata liberatoria fa da contraltare la riflessione amara e malinconica, ai riferimenti pop un lirismo intenso e calibrato in leggerezza. 13 sotto il lenzuolo è un affresco coinvolgente, in cui luoghi e caratteri si stagliano con straordinaria nitidezza. La Puglia, dai profumi e i cattivi odori ugualmente realistici, vive nella sua essenza di terra meticcia, fatta di meraviglie naturali e reminiscenze arcaiche, ma anche di abusi edilizi e piattume globalizzato. Federico Nugnes Peluso, “bravo ragazzo” gaudente e spregiudicato – di quelli che cadono sempre in piedi – attraversa, con i suoi pregi e difetti, trent’anni di storia nostrana come fossero il corridoio di casa propria. Perché, ci piaccia o no, l’Italia gli somiglia molto.