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Il ventesimo morto

Articolo pubblicato sul Quotidiano del 1° marzo, a proposito della terza morte sul lavoro verificatasi negli ultimi mesi all’Ilva di Taranto.

Chi pensava che l’Ilva fosse un’azienda normale o in via di normalizzazione, e chi si ostina a trattare il “caso Ilva” solo come un problema di occupazione e di strategie industriali, deve oggi fare i conti con il terzo incidente mortale nel giro di pochi mesi. In attesa di accertare dinamiche e responsabilità che hanno portato alla scomparsa di Ciro Moccia e al ferimento di Antonio Liddi, andrebbe sottolineato – come in questi mesi non è stato fatto abbastanza – tutto ciò che di poco chiaro c’è stato attorno alle tragedie di Claudio Marsella e Francesco Zaccaria. Nel caso del giovane operaio del reparto Movimento Ferroviario sono finite sotto accusa le condizioni di lavoro, frutto di un discusso accordo sindacale, e i ritardi e le bugie sulle procedure di soccorso. Quanto al gruista precipitato in mare nel giorno del tornado, stando alle denunce di qualche sindacalista e ai sussurri di alcuni operai, le regole di sicurezza sono state violate prima, durante e anche dopo l’incidente, con collaudi approfonditi sollecitati ma mai eseguiti dalle autorità preposte. Il tutto nel sostanziale silenzio della maggior parte dei media.
Ma quella di giovedì mattina, a ben vedere, non è la terza vittima dell’industria tarantina a partire dallo scorso 26 luglio. E’, piuttosto, la ventesima. Nel macabro conteggio vanno infatti inclusi anche i circa diciassette morti attribuibili all’inquinamento, secondo la nota stima dei periti nominati dal tribunale, che parla di trenta decessi l’anno. L’ultimo dell’elenco è stato, forse, Francesco Carrino, 40 anni, non fumatore, andatosene per un tumore al polmone qualche giorno fa, un po’ meno in silenzio degli altri perché era un esponente del tifo organizzato. Su questo dovrebbe riflettere chi crede che ciò che accade là dentro non riguardi anche il resto della città, e anche chi affronta la questione come un “derby” fra operai e vittime dell’inquinamento senza capire che il problema è il medesimo per entrambe le categorie.
A parlare della vicenda in termini così diretti, si rischia di venire accusati di sensazionalismo o di strumentalizzazione. “Non giochiamo a buttarci addosso i morti” si è sentito dire, spesso da parte di chi, agendo, controllando o denunciando, avrebbe potuto evitarli. Ma le cose stanno così, inutile girarci intorno. E forse anziché smettere di buttarli, i morti bisognerebbe smettere di schivarli.