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“Ce stè ride, stuè?!” sul Quotidiano

Ecco il pezzo uscito in prima pagina sul Quotidiano (edizione tarantina) del 30 gennaio, a commento del colorito litigio fra dirigenti del Taranto FC verificatosi nella sala stampa dello stadio Iacovone.

Da domenica pomeriggio una nuova frase si fa largo prepotentemente nella gloriosa storia del calcio rossoblu. Dopo gli “sbroccoli” leggendari del Cavalier Pignatelli (“Manca l’amalgama? E accattàme pure a idde”) e quelli per intenditori di Donato Carelli (“Sono rimasto putrefatto”: intitolarono così anche un libro), dopo le profezie poco lungimiranti (“Stè parlate”, e poi gli avversari giocavano col sangue agli occhi) e le scene di lotta di classe à la D’Addario (“Tanto i giocatori non muoiono di fame”), è la volta di “Ce stè ride, stuè?!”.
Sarà che davvero non c’è niente da ridere, nel calcio e soprattutto altrove, sarà che ormai ne abbiamo viste di tutti i colori, ma la gazzarra fra dirigenti andata in scena nella sala stampa dello Iacovone sembra aver suscitato fra i tarantini più divertimento che sdegno. Piuttosto che curarsi della resa dei conti di una società di serie D, si preferisce godere dell’icastica musicalità di quella che è diventata la sua frase-simbolo.
“Ce stè ride, stuè?!” è tarantino nel suono – secco e scoppiettante – e nel senso. È un’espulsione di rabbia per somma di ammonizioni: io potrei (potrei…) pure tollerare che mi hai fatto incazzare, ma se mi fai incazzare e poi ridi pure “da sopra”, be’, no, questo è troppo. E il troppo, si sa, stroppia (spesso anche di mazzate).
Così, “Ce ste ride, stuè?!” si diffonde a macchia d’olio. Non sarà “Il dado è tratto” e neanche “I have a dream”, ma è perfetta per ricamarci su. C’è chi propone di inserirla come motto nello stemma della squadra o all’entrata dello stadio, chi fonda l’immancabile gruppo Facebook e chi addirittura la trasforma in un travolgente rap, su base Gangnam style. Il tarantino – che è sfottente ma anche autoironico – guarda, ascolta e, se gli scappa una risata, incassa con invidiabile fair play il suo bravo “stuè!”. Sa di esserselo meritato.