Ecco il commento di Giuliano al film “Una piccola impresa meridionale” e la sua intervista a Rocco Papaleo. Commento e intervista sono stati pubblicati sul Quotidiano di Puglia del 17 ottobre.
“Se a Roma o a Torino ruggivano gli anni Settanta, in un piccolo paesino del Sud come il mio, miagolava al massimo un Sessantacinque scarso”. Così Rocco Papaleo nella prima pagina del romanzo “Una piccola impresa meridionale”, da cui è stato tratto l’omonimo film. “La questione meridionale in fondo è tutta qui: un endemico scarto di fuso orario, un jet lag della contemporaneità che intorpidisce le coscienze. Del corpo sociale, noi meridionali siamo gli arti periferici, dita e unghie. Il cuore pulsante della nazione batte altrove; a noi, tutt’al più, spetta la manicure”.
Fin qui, la questione meridionale. Ma il titolo è “Una piccola impresa meridionale”. Tre parole che si danno senso a vicenda, perché lette così in fila danno un’idea di modestia d’altri tempi, di cura artigianale, oppure fanno pensare che ogni piccola conquista, al Sud, è un’impresa. “Mi piaceva l’idea di mettere insieme due parole che sono un po’ un ossimoro, visto che il meridione non è spesso considerato capace di imprenditorialità” sostiene Papaleo.
Ma quella di cui si parla qui è soprattutto un’impresa umana. “La piccola impresa meridionale è nel miracolo che si compie: ristrutturando un vecchio faro, i suoi abitanti finiscono per ristrutturare se stessi” si legge nella sinossi del film. “Sono i pezzi difettosi dei loro caratteri quelli che vanno sostituendo; limando spigolosità e accostando differenze, ognuno di loro compie un percorso di emancipazione, scavalcando la soglia del pregiudizio e delle loro personali paure”. E di questa impresa il Sud non è più ossimoro, ma anzi l’unico teatro possibile. Perché in quel faro il Meridione scopre che le ataviche zavorre di cui è schiavo possono essere anche le risorse da cui ripartire. Basta che la morale “elastica” si declini in apertura mentale e le abitudini all’antica in una ricchezza umana che altrove si è persa.
E’ una piccola impresa meridionale, in fondo, anche questo film. Un film fatto di ritmi e di atmosfere prima ancora che di trama e personaggi, e che trasuda anch’esso cura artigianale e il gusto delle cose fatte per piacere prima che per calcolo. Al di là di qualche sfilacciamento sul finale, “Una piccola impresa meridionale” mantiene la leggerezza di tocco e la magia divertita di “Basilicata coast to coast”, aggiungendo però qua e là un inedito spessore drammatico, grazie anche alla bravura degli attori, su tutti Giuliana Lojodice e Giorgio Colangeli.
Dopo il successo di “Basilicata coast to coast”, Rocco Papaleo si cimenta nuovamente con la regia cinematografica in “Una piccola impresa meridionale”. Un faro in disuso in un’imprecisata località del Sud diventa il refugium peccatorum di una serie di personaggi alle prese con problemi personali e variamente esposti al pregiudizio della gente: un prete che non ha ancora confessato di essersi spogliato (Papaleo), suo cognato cornificato e abbandonato dalla moglie (Riccardo Scamarcio), una escort appena ritiratasi a vita privata (Barbora Bobulova) e una coppia di amanti al femminile (Claudia Potenza e Sarah Felberbaum). La decisione di ristrutturare il faro diventa un’occasione di riscatto, che restituisce a tutti fiducia in se stessi e gioia di vivere, con o senza l’approvazione degli altri.
Rocco Papaleo, che obiettivi si era posto con questo film?
Innanzitutto quello di raccontare una storia. Ci sono dei temi che mi stanno molto a cuore, come quello della spiritualità – qui intesa in senso laico come un cambio di direzione che non segue necessariamente le vie canoniche – e i pregiudizi, meridionali e non. Ma più in generale, come in tutte le mie espressioni artistiche, lo scopo è quello di offrire con leggerezza un conforto al pubblico.
Lei interpreta un prete spretato: qual è il suo rapporto con il clero?
Il mio rapporto con i preti risale a quando ero un ragazzino esuberante e il professore di religione mi puniva obbligandomi ad inginocchiarmi davanti a tutti appena lui entrava in classe. Naturalmente non tutti i preti sono così. Pur non essendo credente ho molto rispetto per i religiosi, ma nutro anche un senso critico verso l’apparato.
“Una piccola impresa meridionale” è nato prima come romanzo (edito da Mondadori) e poi come film. Perché questa incursione nella narrativa, e che differenza c’è con la realizzazione di una sceneggiatura?
Col mio coautore Valter Lupo partiamo sempre da un’idea letteraria. Anche quando pensiamo a un film non scriviamo mai in modo tecnico, ma cercando profondità e forma, perché siamo drogati di parole, subiamo il fascino delle parole e della loro musicalità. Anche per “Una piccola impresa meridionale” abbiamo scritto un testo in questo modo, sottoponendolo poi a Sandrone Dazieri perché valutasse l’opportunità di farne una sceneggiatura vera e propria. Lui ha rilanciato suggerendoci di farne un vero romanzo, e noi, sopravvalutandoci un bel po’, abbiamo detto di sì. Il libro doveva uscire molti mesi fa, ma poi la produzione del film si è opposta così ora libro e film sono usciti insieme: sembra un’operazione commerciale, e in effetti lo è!
Anche in questo film la musica ha un ruolo centrale e, a sentire gli attori, anche sul set si respirava un’atmosfera di libertà un po’ “jazz”…
Con Riccardo Scamarcio ci siamo incontrati subito proprio sul terreno della musica. Lui interpreta un pianista, e nel film canta anche una mia canzone, “La tua parte imperfetta”. Quando sono stato a casa di Barbora Bobulova ho visto una pianola e lei mi ha detto che nelle serate con gli amici si diletta col karaoke, una caratteristica che ho deciso subito di trasferire al suo personaggio. C’è poi anche una canzone di Erica Mou, “Dove cadono i fulmini”, che ho voluto inserire nel film a tutti i costi anche se avevamo già finito di girare. Quanto all’improvvisazione jazz… Durante le riprese Barbora si è rotta il piede. Invece di sospendere tutto, ho ‘fatto cadere’ anche il suo personaggio, arricchendo la trama con uno spunto imprevisto.