Ecco la recensione di Bar Sport, il film di Massimo Martelli tratto dal romanzo di Stefano Benni, pubblicata sul Quotidiano di Puglia venerdì 21 ottobre.
Tutti sanno cos’è il Bar Sport: ce n’è uno in ogni paese. È un luogo dell’anima, prima ancora che fisico, dove gli habitué, fra scherzi, pettegolezzi e balle ben raccontate, fabbricano miti di periferia e ricordi destinati a durare.
Tutti (o quasi) sanno cos’è Bar Sport nel senso del libro, di Stefano Benni, che dal 1976 a oggi ha macinato ben 29 ristampe divenendo ormai un vero classico della nostra letteratura umoristica.
Ecco perché Bar Sport nel senso del film diretto da Massimo Martelli, in uscita nelle sale da venerdì 21, poggia su basi sì solide, ma proprio per questo rischiose.
I pericoli erano molteplici: quello del confronto con un libro così celebrato, e per giunta immaginifico, iperbolico, ricchissimo di storie e personaggi; quello di cadere nella banalità e nel risaputo, dovendosi misurare con tipi e situazioni abbondantemente entrati nell’immaginario collettivo; quello, infine, della stucchevole nostalgia da revival, essendo la narrazione ambientata negli anni Settanta.
Massimo Martelli ha neutralizzato questi rischi con due armi: il ritmo e lo stile registico.
Dopo una decina di minuti un po’ piatti, il film prende quota soprattutto grazie alla velocità a cui le scene e le battute si susseguono, rendendo così giustizia all’esuberanza creativa di Benni, e movimentando un percorso narrativo potenzialmente statico, essendo di fatto tutto ambientato in un bar.
L’eco di Fantozzi e Amici miei si avverte nell’andamento a episodi e in alcune caratterizzazioni (il Teocoli sedicente playboy al night in Costa Azzurra sembra proprio Calboni all’Ippopotamo; il primario ricorda il Sassaroli interpretato da Adolfo Celi). Ma Martelli ci mette anche molto di suo, lavorando sodo con montaggi e inquadrature, così da sfruttare appieno le specificità e le suggestioni del linguaggio cinematografico. Discorso a parte, poi, per gli inserti animati di Giuseppe Maurizio Laganà, vero tocco distinitivo che regala al film la stessa sfumatura fumettistico-surreale dell’opera di Benni.
L’unico pericolo che Bar Sport non scongiura del tutto è quello dell’operazione-revival, che però in definitiva si traduce nell’innocente giochino della caccia al dettaglio d’epoca, dal poster di Savoldi al telefono a gettoni.
Infine gli attori: bravissimo come al solito Giuseppe Battiston (nei panni di Onassis, il barista) ma forse la palma del migliore stavolta spetta a Claudio Bisio, a cui il ruolo del Tennico, tuttologo da bar, calza a pennello quasi quanto le camicie e i maglioncini vintage che indossa. Il bello del cast sta però soprattutto nel gran numero di altri attori di livello che sembrano divertirsi un mondo mentre recitano: dai “comprimari” (Antonio Catania, Lunetta Savino e Bob Messini) alle amichevoli partecipazioni (Claudio Amendola e il già citato Teocoli), fino ai veri e propri cameo (Giorgio Comaschi e persino Federico Poggipollini, storico chitarrista di Ligabue).
Bar Sport non è un capolavoro, ma un gioiellino realizzato con passione che, a differenza di altre commedie viste negli ultimi tempi, si tiene lontano da sceneggiature grevi e frettolose, regie sciatte e recitazioni approssimative.