A Taranto la laurea in “Mali Culturali”

_web_images_tarantoBIGPubblicato sul Quotidiano di Taranto del 21 maggio.

Se l’Ateneo di Bari chiude il Corso di Laurea in Beni Culturali di Taranto non è certo per una forma di accanimento verso il territorio jonico, ma piuttosto per questioni economiche che hanno cause e conseguenze più generali. Tuttavia, in una città che ha bisogno di ripensarsi, che non vuole essere più (solo) industriale e che proprio nella Cultura e nella valorizzazione dei propri beni sembra aver individuato una delle poste su cui puntare, la notizia di questa ennesima soppressione universitaria pesa come un macigno, e impone una riflessione molto seria. Anche perché se l’università piange, gli altri prestigiosi centri di istruzione non ridono: il destino dell’Istituto Musicale Paisiello (quasi un secolo di storia, parificato ai conservatori) è sempre in bilico, mentre la sede storica dell’Archita (uno dei ginnasi più antichi d’Italia) langue da anni fra le impalcature proprio al centro della città.
L’unico aspetto positivo in questa vicenda – a volerne trovare uno – sono le 8mila firme raccolte fra i cittadini nel tentativo di scongiurare la chiusura del corso di laurea. Vuol dire che perlomeno la perdita viene considerata tale, e che qualcuno ha saputo convogliare l’opinione pubblica in un’iniziativa concreta, sebbene infruttuosa. Magra consolazione? Può darsi, ma ugualmente un fatto da non dare per scontato, visto l’orribile silenzio che ha accompagnato, in un passato anche recente, “scippi” e occasioni perse dello stesso genere di questa ultima.
Il fatto è che di istruzione in materia di beni culturali e turismo qui ci sarebbe bisogno, eccome. In che modo vengono trattati, infatti, i nostri beni culturali? Prendiamo il Marta. Fiore all’occhiello, almeno a parole, dell’offerta non solo cittadina ma anche regionale. Che però in città viene penalizzato da una gestione – diciamo così – non fra le più dinamiche, mentre negli aeroporti più vicini – che pure pullulano di foto e pannelli sulle attrattive del territorio – del museo archeologico tarantino non si trova alcuna0 traccia.
Prendiamo poi le aree militari in odore di dismissione, dai pezzi di Arsenale e Ospedale alle Isole Cheradi: in quanti le considerano davvero dei beni culturali e delle opportunità di sviluppo?
Prendiamo infine la Città Vecchia: crolli e abbandono quasi ovunque; i pochi spazi recuperati sono poco pubblicizzati, sottoutilizzati e gestiti solitamente in proprio – quindi in perdita – dal Comune. A Matera, Capitale Europea della Cultura nel 2019 – ricordate? Avevamo partecipato anche noi, con una proposta tardiva e velleitaria – le ristrutturazioni susseguitesi negli ultimi anni hanno visto fondazioni e associazioni partecipare prima nella progettazione e poi nella gestione di spazi e attività, garantendo vivacità e sostenibilità economica.
E allora è proprio da qui che si deve ripartire. Da una partnership in cui il pubblico mette a disposizione ciò che ha (risorse, sebbene in quantità sempre minori, patrimonio edilizio e naturale e potere decisionale) e le piccole imprese, le associazioni giovanili, il volontariato, insomma tutta quella parte viva di città che in questo momento ha più idee che possibilità di metterle in pratica, offrono competenze, voglia di fare e spirito imprenditoriale. Ma, come scritto altre volte, questo dialogo fra istituzioni e società a Taranto è davvero molto difficoltoso. E forse è anche per questo – che possiamo definire un vero “male culturale” – che i corsi di laurea e le occasioni di rilancio si allontanano da questa città.

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