Restiamo uniti

L’articolo sulla difficile situazione economica del Taranto apparso sul Quotidiano del 16 febbraio.

Restamo uniti. Il tormentone sanremese di Gianni Morandi è un invito che la piazza calcistica tarantina, fiaccata da mancati pagamenti e inevitabili penalizzazioni, farebbe bene a raccogliere.
Le chances di promozione diretta si riducono al lumicino, il giocattolo è sul punto di rompersi, e si scatena la caccia al colpevole.
Ma la colpa di chi è? Di tutti, ma in fondo di nessuno. Detto così sembra il solito qualunquismo autoassolutorio all’italiana. Invece vuole essere solo una serena analisi della realtà. E un tentativo di non mandare tutto a monte.
La colpa è di D’Addario? Tecnicamente sì, perché è lui, e non altri, ad essersi assunto degli impegni che ora non è in grado di onorare. Ma vogliamo davvero gettare la croce addosso all’unico che si è esposto, l’unico che sta rischiando di suo? Un Taranto così forte non si vedeva da decenni, e fino a prova contraria la squadra l’ha costruita lui, prima scommettendo su Dionigi e poi mettendolo nelle condizioni migliori per lavorare. Ora naviga in cattive acque, più a causa della crisi economica che colpisce le sue aziende che per una cattiva gestione dell’AS Taranto. Cosa dovrebbe fare, licenziare i suoi dipendenti per pagare i giocatori?
La colpa è degli imprenditori locali? Mai stati molto dinamici, lo sappiamo. E neanche propensi ad aiutarsi e a fare sistema. In fondo era stato D’Addario, in tempi di vacche grasse, a dire “faccio da me”. Poi, fra main sponsor e l’iniziativa “Un sogno che cavalca un sogno”, ha spremuto dal territorio quello che si poteva spremere. La crisi è a volte una brutta realtà, altre una buona scusa. Ma perché gli imprenditori dovrebbero assumersi gli oneri, se gli eventuali onori saranno tutti di D’Addario?
La colpa è dei politici locali? Sul loro operato generale ognuno ha la propria opinione e molte, legittimamente, non sono tenere. Ma nel caso specifico, cosa gli si rimprovera? Il fund raising a favore di aziende private (sebbene “di interesse pubblico”, come un club calcistico) non rientra fra i loro compiti. Possono – e devono – fare da intermediari, avvicinare le parti, ma certo non possono – e non devono – costringere un’azienda a finanziarne un’altra. Soprattutto non devono indebolire (ulteriormente) la loro posizione nei confronti della grande industria andando a chiederle l’elemosina per conto terzi.
La colpa è della grande industria? Cosa le stavamo chiedendo? Una sponsorizzazione? Un pegno? Un obolo? Il problema è che Cementir, Eni e Ilva non hanno alcun interesse a sponsorizzare il Taranto o qualsiasi altra realtà locale, per il semplice motivo che il loro mercato è globale. Non sono, per intederci, la Birra Raffo. Non vendono la loro merce ai tifosi del Taranto. Il solo motivo per cui possono finanziare iniziative sul territorio è perché vogliono farsi ben volere, o farsi perdonare qualcosa. Per fortuna non l’hanno fatto: barattare i diritti al lavoro e alla salute con due lire alla squadra di calcio sarebbe stata una cosa da terzo mondo. Dice: ma colonizzano e avvelenano il nostro territorio. Sì, ma eventuali compensazioni e risarcimenti li decidono la legge e la magistratura, non certo l’incombere di qualche punto di penalizzazione. E qualora dovessero arrivare, questi soldi, li si dia ai mitilicultori, agli allevatori che hanno perso tutto, alle famiglie dei morti di lavoro e di tumore. Il nostro cuore batte per il Taranto, d’accordo, ma ricordiamoci anche dei cuori che non battono più. Siamo seri.
Tutto a posto, quindi? Neanche per sogno. Vedere un progetto così bello sul punto di crollare fa male quasi fisicamente. Purtroppo in questo momento possiamo fare poco per migliorare la situazione. In compenso, e questo è il punto, buttandoci nel gioco al massacro delle colpe e delle recriminazioni rischiamo di fare molto per peggiorarla. Se amiamo davvero il Taranto, mettiamo da parte le critiche, i giudizi sommari e il tutti contro tutti. Cerchiamo invece di stringerci attorno alla squadra, andiamo più numerosi allo stadio e prendiamocela sul campo, questa promozione. Se ci riusciremo, fra mille difficoltà, sarà ancora più bello. Di “eroi dei due mari”, di “deus ex machina” che spuntano dal nulla e ci tolgono dai guai, non se ne sono visti nemmeno stavolta. Se alla fine di questa storia ci saranno degli eroi, saranno quelli che ben conosciamo già da parecchio tempo: Dionigi e i suoi ragazzi. Senza macchia, senza paura e senza stipendio.

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