“Così si ama una città”: “Ammazza che piazza” sul Quotidiano

Ecco l’articolo sull’iniziativa “Ammazza che piazza”, uscito il 6 ottobre sul Quotidiano col titolo “Così si ama una città”.

Una giornata di agosto, sulla sabbia rovente del “Giamaica”. Un gruppo di amici che discute. Nasce così “Ammazza che piazza”, l’iniziativa spontanea che sta ripulendo ad una ad una le piazze e le aree verdi di Taranto. Fra gli otto fondatori ci sono studenti, giovani lavoratori, disoccupati. Molti di loro vanno allo stadio, in Curva Nord, il “covo” del tifo dove – contrariamente a quanto alcuni pensano – non si trovano solo perdigiorno e teppisti, ma anche menti attive, positive e innamorate della propra città. Amare il Taranto è uno dei modi di amare Taranto. “E’ arrivato il momento di dimostrarlo concretamente” si devono essere detti quel giorno gli otto ragazzi al “Giamaica”, coi piedi a mollo e una Raffo in mano. E, armati di guanti, sacchi, scope e rastrelli, hanno deciso di riprendersi la città. Da piazza Bettolo a piazza Marconi, passando per via Emilia e la Salinella: la “squadra” non solo pulisce, ma rimette a nuovo con opere di giardinaggio, imbiancando muri e magari ricolorandoli con un bel murales dal messaggio edificante.
Un’idea semplice semplice, che proprio per questo prende piede rapidamente. In poco meno di un mese gli iscritti al gruppo su Facebook sono oltre duemila. E – cosa più importante – a ognuna delle “chiamate alle armi” (finora sei-sette), hanno risposto “presente” dalle venticinque alle settanta persone. Nessuna speciale polemica nei confronti di chi alla pulizia sarebbe preposto: solo una sana voglia di darsi da fare.
“Ammazza che piazza” è una valvola di sfogo per tutti quelli – e sono tanti – che amano Taranto, vorrebbero fare qualcosa per migliorarla ma non sanno cosa. Ora lo sanno. Sulla bacheca del gruppo Facebook, oltre a complimenti, dichiarazioni di disponibilità e richieste di informazioni, si trovano contributi simili a quelli di qualsiasi altro sito filotarantino: foto d’epoca, cenni di storia e di folklore, interventi a tema ambientale, commenti e proclami calcistici. E’ il partito silenzioso e trasversale dei tarantini orgogliosi e appassionati, quelli che non si rassegnano.
Ma questa iniziativa è anche un metaforico schiaffo in faccia a coloro – e sono tanti anche questi, temo in maggioranza rispetto al partito di cui sopra – che credono che a Taranto niente possa mai cambiare in meglio. Ora, per difendere questo loro incrollabile convincimento, dovranno chiudere gli occhi su una cosa in più.
I ragazzi lavorano sodo, e nel frattempo spiegano, socializzano, sensibilizzano. Piazzano cartelli che invitano al rispetto. Raccontano la storia dei siti archeologici, perché se sai che una pietra ha migliaia di anni magari ti passa la voglia di imbrattarla. Di decoro urbano c’è sempre più bisogno. Ma, pur senza sminuire i benefici concreti di questi “raid ecologici”, è chiaro che il valore di “Ammazza che piazza” è soprattutto simbolico. E’ un’esempio, un invito a riflettere, una lezione di educazione civica spogliata di inutile prosopopea. Il punto non è tanto pulire, ma insegnare a tenere pulito. Di più: insegnare ad amare il posto in cui si vive, e a capire che il suo destino dipende molto da noi. E poi chissà, a forza di rastrellate e di sacchi neri riempiti di robaccia, si passerà a un livello più alto di pulizia e di rispetto per l’ambiente. Perché – e quelli di “Ammazza che piazza” lo sanno bene – a sporcare Taranto non sono solo le cartacce gettate per strada. Ma è da lì, dalla strada, che bisogna partire.

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